consiglio dei ministri
Il colpo di sole di Lollobrigida contro gli interessi degli agricoltori
Il divieto del fotovoltaico a terra non ha molto senso, visto che sui terreni agricoli era già fortemente limitato e vincolato. La norma approvata oggi in Cdm allontana il governo dai suoi obiettivi e, soprattutto, riduce le possibilità di fare reddito delle aziende agricole
Vietare il fotovoltaico di grande scala sui terreni agricoli sarà forse stata pensata come una misura a favore dell’agricoltura, ma certo non va a vantaggio degli agricoltori. E, in linea di massimo, penalizzare gli agricoltori non fa bene dell’agricoltura.
L’obiettivo del ministro Francesco Lollobrigida, inserito nel decreto approvato oggi dal governo, sembra essere la lotta alle “speculazioni di chi vorrebbe produrre energia solare sottraendo terreno alle nostre coltivazioni di qualità” (come ha scritto l’esponente di Fratelli d’Italia su Facebook). In realtà, già oggi esistono limiti fortissimi per l’installazione di questi impianti a terra su aree agricole. I terreni, infatti, devono essere racchiusi in un perimetro i cui punti non distino più di 500 metri zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale, cave e miniere oppure ai bordi della rete autostradale.
Ma queste sono soltanto le precondizioni, che restringono le zone potenzialmente interessate. Una volta che lo sviluppatore abbia individuato un luogo adatto, deve avviare il percorso autorizzativo, all’interno del quale possono intervenire non solo gli enti locali, ma tutti coloro che, a vario titolo, ritengono di poter vantare un interesse a impedire o modificare il progetto. Insomma: se la preoccupazione (non del tutto infondata, ovviamente) è garantire che le installazioni fotovoltaiche di larga scala rispettino l’ambiente, l’agricoltura e il paesaggio, anche senza bisogno di introdurre ulteriori vincoli si può dire che l’ordinamento già oggi è estremamente conservativo.
Oltre tutto, questi impianti non possono accedere agli incentivi, quindi se vengono realizzati è perché le imprese ritengono di poterli gestire in modo profittevole. I costi dei campi fotovoltaici “utility scale” sono tipicamente inferiori a quelli di piccole dimensioni: si stima che il costo medio di generazione sia tra la metà e un terzo. Infatti, a livello globale sono i primi a dominare. Lo stesso non può dirsi per l’Italia: nel 2023, anno record per il fotovoltaico, gli impianti di taglia superiore al megawatt (MW) hanno contribuito solo per circa un quinto alla crescita complessiva (1,15 GW su 5,23 GW). E per giunta, il decreto contiene una deroga per i progetti già avviati e in corso di autorizzazione.
In queste condizioni, non si capisce davvero cosa il ministro dell’Agricoltura pensi di ottenere. Al contrario, rischia di danneggiare quelli che in teoria dovrebbero essere proprio i beneficiari dei suoi interventi. Molti agricoltori, infatti, vedono nel fotovoltaico e nelle altre rinnovabili (in particolare il biogas) un’opportunità di integrare e stabilizzare i loro ricavi, di fatto sussidiando le attività agricole, spesso caratterizzate da bassi margini e andamenti incerti. Si usano cioè terreni marginali e meno produttivi per sostenere gli investimenti e la redditività dell’impresa.
Paradosso nel paradosso, il governo stesso ne è consapevole tanto che, attraverso il Pnrr, ha stanziato ingenti somme: 1,5 miliardi di euro per l’agrisolare (cioè l’installazione dei pannelli sui tetti delle costruzioni agricole) e 1,1 miliardi per l’agrivoltaico (pannelli installati su supporti che consentono la prosecuzione delle attività agricole sui medesimi terreni). Da un lato, quindi, si incentiva l’impiego del solare sui terreni agricoli dove costa di più; dall’altro si vieta agli agricoltori di investire sugli impianti fotovoltaici in assoluto più convenienti.
Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, responsabile del raggiungimento degli obiettivi climatici, si era impuntato uscendone sconfitto. Ma aveva ragione. Con il divieto voluto da Lollobrigida perde l’ambiente, perdono gli agricoltori e perde la razionalità economica. Ciò che è più bizzarro è che la protesta dei trattori dei mesi scorsi era stata scatenata dai problemi di redditività degli agricoltori: la norma propagandistica introdotta dal governo riduce ulteriormente le possibilità di fare reddito delle aziende agricole.