rinnovabili
Zone agricole “sovrane”: Lollobrigida vuole vietare il fotovoltaico
Il decreto Agricoltura mette a rischio l'80 per cento dei progetti in corso e non tutela il paesaggio. Sarebbe il caso che per primi i promotori di questi impianti si dessero una regolata nella scelta dei siti
Lo scorso weekend il ministro Lollobrigida ha pensato bene di agitare tutto il mondo dell’energia rendendo pubblica, tanto per cambiare d’intesa con la Coldiretti, una proposta di legge che vieta l’installazione di impianti fotovoltaici “a terra” nelle zone agricole. Praticamente una messa in mora di centinaia di progetti. Le associazioni del settore stimano che sarebbero cassati circa l’80 per cento dei progetti in corso con tanti saluti agli obbiettivi del Piano energia e clima (Pniec), concordati con la Ue. Uguale sconcerto da parte del ministro Gilberto Pichetto Fratin, colto di sorpresa, e ricerca in corso di faticose e confuse mediazioni.
Tanto per cominciare la proposta di legge era scritta con i piedi e parlava di impianti fotovoltaici realizzati “a terra” in zone agricole. Sarebbero però ora salvati, ultime notizie, i cosiddetti impianti agrofotovoltaici, a cui peraltro il Pnrr devolve consistenti investimenti. La differenza fra un impianto tradizionale e questa tipologia è che la seconda colloca i pannelli solari a una certa altezza, 3/4 metri, in modo da conservare sotto, si dice, le possibili attività agricole. Cosa che suscita molte perplessità e qualche scettico sorriso fra gli esperti del mondo agricolo. Ma comunque anche gli impianti agrofotovoltaici non galleggiano nel vuoto: poggiano sulla terra e anzi hanno bisogno di notevoli fondazioni in grado di evitare che se ne volino via con il vento. Cosa già accaduta.
Il provvedimento è stato giustificato con le solite ragioni della ricerca della sovranità alimentare. Anche ammesso che la sovranità alimentare sia uno scopo ragionevole, i terreni agricoli che veramente possono concorrere a questo obbiettivo sono concentrati in poche zone del paese e in alcune colture. Diversa invece è la questione dal punto di vista paesaggistico. Infatti a Lollobrigida è subito arrivata la solidarietà del collega responsabile del ministero della Cultura. Da questa prospettiva è assai discutibile che impianti alti 4 metri siano visivamente meno impattanti di impianti a terra. Inoltre sempre di più i nuovi progetti tendono a concentrarsi in aree sensibili per diverse ragioni. Dove c’è un’agricoltura ricca non c’è grande entusiasmo e nelle aree interne dove l’agricoltura è più povera sono però cresciute importanti attività turistiche o attività agricole di nicchia, che si sentono a ragione minacciate da modificazioni permanenti del paesaggio. Si tratta di migliaia di agriturismi, per esempio, che rappresentano in molti casi il reddito principale di molti ex contadini. E tante seconde case e piccoli alberghi. Basta sfogliare un po’ di pagine dei giornali locali per constatare una marea montante di proteste, a cominciare da quelle dei sindaci, una parte delle quali può certo essere attribuita alla nota sindrome Nimby, ma altre hanno giustificazioni fondate. Impianti solari ed eolici attorno a Orvieto, ettari coperti da pannelli fra Noto e Pachino o nei pressi dell’Oasi di Vendicari, per non parlare della Tuscia e della Maremma, dove vi sono richieste di autorizzazioni fra eolico e solare per migliaia di ettari. Ma è così un po’ in tutta Italia con impianti “utility scale” che richiedono centinaia di ettari.
Stupisce peraltro l’assoluta indifferenza della principali associazioni ambientaliste, con l’eccezione di Italia Nostra e degli Amici della Terra, sempre pronte a dire di no a mille altre cose utili e onestamente molto meno impattanti. Si tratta, è bene saperlo, di modificazioni destinate a durare praticamente per sempre. Sarebbe quindi il caso che per primi i promotori di questi impianti si dessero una regolata nella scelta dei siti, onde evitare alla fine di dover gettare il bambino con l’acqua sporca.
Intanto Ispra continua a segnalare che l’intero obbiettivo del Pniec potrebbe essere raggiunto installando pannelli sui tetti dei capannoni agricoli e industriali, sulle tettoie dei parcheggi e in altre aree degradate oltre che nelle abitazioni non interessate da vincoli. Forse potrebbe bastare differenziare il prezzo di ritiro dell’energia prodotta, incentivando maggiormente quella realizzata sulle coperture degli edifici, nelle aree industriali e in quelle degradate. Certo adesso la redazione delle cosiddette aree idonee, attesa da tempo, diventa ancora più difficile.