(foto EPA)

i dati

Cosa perde un'Italia che non investe sulla Difesa. Il report di Mediobanca

Dario Di Vico

Investire nel settore ha un ritorno non solo sul versante della sicurezza ma anche in chiave industriale e di presidio delle catene del valore tecnologiche. I grandi risulati di Leonardo e Fincantieri

Iniziamo con una sorpresa. I cittadini che spendono di più per la difesa del proprio Paese sono quelli del Qatar con 15,7 dollari pro capite al giorno nel 2023. Due Paesi occidentali tradizionalmente attenti ai temi della sicurezza come Israele e Stati Uniti seguono (a distanza) rispettivamente con 8,2 e 7,4 dollari. La spesa degli italiani è decisamente inferiore (1,7 dollari pro capite) ma viaggia comunque a ritmi doppi della media mondiale, ma tre volte meno dell’Ucraina e il 20 per cento meno della Russia. Nel mondo la quota di spesa pubblica dedicata alla difesa è più elevata in Ucraina e Bielorussia con oltre la metà del totale del budget nazionale, mentre l’Italia è nella parte bassa della classifica (121o posto) con il 3 per cento, inferiore alla media mondiale del 6,9. La quota russa è del 16,1 per cento, quasi il doppio di quella americana (9,1 per cento).

Questi e altri, estremamente attuali, provengono da un studio-approfondimento dell’Area Studi Mediobanca dedicato ai 30 principali big dell’industria della difesa con ricavi superiori a 1,5 miliardi di euro. Tutti in ottima salute. Complessivamente infatti nel primo trimestre 2024 il rendimento azionario delle multinazionali di qualsiasi settore vede in cima proprio i grandi gruppi degli armamenti con un incremento del 22,8 per cento. Per avere un termine di paragone le multinazionali tech dei media/entertainment si sono valorizzate del 19 per cento e quelle della moda/lusso del 17,9 per cento. Il rendimento dei player della difesa risulta superiore per tre volte all’indice azionario mondiale ma, controintuitivamente, sono i gruppi europei ad averne beneficiato singolarmente di più (e di tanto) rispetto agli americani. La lista si apre con le tedesche Rheinmetall (+80,5 per cento) e Hensoldt e trova le italiane Leonardo (+55,9 per cento) e Fincantieri (+21,9 per cento) rispettivamente al quarto e al nono posto.

 

Le performance di cui sopra sono ampiamente giustificate da una spesa globale per la difesa che ha raggiunto nel mondo il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari nel 2023 (2,3 per cento del Pil mondiale), un tetto pari a 6,7 miliardi di dollari al giorno, registrando un incremento del 6,8 per cento. Il più marcato dal 2009. Anche in termini pro capite la spesa mondiale per gli armamenti ha raggiunto il top dal 1990 con 306 dollari a persona. Più di due terzi di questa enorme massa di denaro fa capo agli Stati Uniti, seguiti dalla Cina (12,1 per cento) e dalla Russia (4,5 per cento). L’Italia è dodicesima con l’1,5 per cento del totale-mondo ovvero 35,5 miliardi di dollari con un incremento del 5,5 per cento atteso per il 2024. Come richiesto dalla Nato dal lontano 2014, l’Italia sta innalzando la propria spesa con l’obiettivo di raggiungere il 2 per cento del pil, “sebbene persistano forti dubbi sull’effettiva fattibilità di tale traguardo entro il 2028” annota il report di Mediobanca. Una curiosità: ci sono Paesi come Costa Rica, Islanda e Panama che non sostengono alcuna spesa per la loro difesa. La classifica però cambia se rapportiamo la spesa per la difesa al Pil e in questo caso balza in testa l’Ucraina con il 36,7 per cento.

 

Se dai dati aggregati passiamo ad analizzare la struttura dell’offerta tra i 30 big del settore ben 15 sono americani, tre gruppi sono francesi, due ciascuno per Germania, Gran Bretagna, India e Italia. I primi cinque posti per ricavi sono occupati da Lockheed Martin (55 miliardi di euro nel 2023), Rtx (36,8), Boeing (31), Northrop Grumman (30,6) e General Dynamics (26,8). Tutti a stelle e strisce. In ottava posizione per i ricavi stimati c’è Leonardo (11,5 miliardi di euro) e in venticinquesima Fincantieri (2 miliardi di euro). In Europa davanti a Leonardo c’è solo l’inglese Bae Systems (25,8). La redditività aggregata dei big della difesa appare però in calo e le migliori sono le compagnie asiatiche. In rialzo a doppia cifra invece l’intensità degli investimenti che tocca i 13 miliardi di euro e vede nella francese Dassault Aviation una delle più brillanti. Anche la distribuzione di dividendi è aumentata del 5 per cento nel confronto 2023/22 e le trenta multinazionali della difesa oggetto del report occupano complessivamente 1,4 milioni di persone, di cui il 69 per cento nei gruppi americani. La capitalizzazione aggregata delle multinazionali degli armamenti vale 760 miliardi di euro e risulta mediamente 4,6 volte i mezzi propri ma le italiane sono le meno valorizzate dalla Borsa. Fincantieri quota 2,2 volte il capitale netto e Leonardo registra un valore di listino allineato ai mezzi propri.

 

Mediobanca ha anche calcolato il rendimento azionario dei big della difesa nel quadriennio 2019-23 pari a +68,7 per cento, il doppio dell’indice azionario mondiale e ne deriva che i rendimenti degli anni 2022-23, anni di escalation della tensione geopolitica globale, hanno consentito ai big della difesa di recuperare ampiamente il terreno perso nel 2020-21, gli anni del Covid. Borsa e investitori, insomma, continuano ad apprezzare “il valore della sicurezza”. Il giudizio finale del report è riconducibile in primo luogo a una comparazione obbligata tra industria americana ed europea. Il giudizio è di “subalternità” del Vecchio Continente, parere motivato con le inferiori spese degli Stati membri, la frammentazione istituzionale delle politiche di difesa nazionali e la scarsa propensione a cooperare. “Rendere più competitive le imprese del Vecchio Continente comporta un consolidamento industriale e un incremento dei progetti congiunti, i cui vantaggi si misurano in termini di maggiore efficienza ed economia di scala e migliore interoperabilità”. Investire nella difesa ha quindi un ritorno non solo sul versante della sicurezza ma anche in chiave industriale e di presidio delle catene del valore tecnologiche.

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