(foto EPA)

l'analisi

Perché i dazi di Biden sono una pessima notizia anche per l'Italia

Oscar Giannino

Le misure annunciate dal presidente americano piaceranno ai sovranisti, ma le guerre daziarie nella storia non hanno mai prodotto i roboanti risultati promessi da chi le ha intraprese. Esempi

Venerdì scorso il presidente Biden ha annunciato un nuovo aspro indurimento dei dazi applicati dagli Usa verso la Cina su veicoli elettrici, batterie e componenti di batterie elettriche e dispositivi medico-sanitari. Poche settimane prima, ad aprile, aveva annunciato l’intenzione di triplicare le già elevate tariffe nei confronti di acciaio e alluminio cinesi. Sui media è rimbalzata la notizia che la tariffa sui veicoli elettrici cinesi salirà al 100%. Trump, l’iniziatore delle guerre tariffarie con la Cina nel 2017, si è sentito scavalcato e domenica ha rilanciato: se vince lui, le tariffe su EV cinesi saliranno al 200%. Studiare i dettagli sarà importante per capire la dimensione dei provvedimenti ma la sostanza è chiara: si tratta di un errore.

Piacerà ai sovranisti, ma le guerre daziarie nella storia non hanno mai prodotto i roboanti risultati promessi da chi le ha intraprese. Negli anni di Napoleone, il settore francese del tessile, filati e sete inneggiava all’imperatore: il blocco continentale contro l’Impero britannico consentì una fortissima espansione delle produzioni francesi. Dopo il 1814, il ritorno in massa in Europa di cotone e filati britannici a prezzi minori e maggior qualità mandò sul lastrico centinaia di manifatture francesi. Se osserviamo i numeri dal 2017 a oggi, il forte l’aumento progressivo dei dazi americani verso la Cina non ha impedito a Pechino né di aumentare il proprio avanzo commerciale globale, che malgrado la prima frenata dell’export cinese in molti anni ha superato gli 880 miliardi di dollari nel 2022, né l’avanzo commerciale della Cina verso gli Stati Uniti, che nel 2020 era di circa 310 miliardi di dollari ma nel 2022 è salito a 400 miliardi. Se poi andiamo nel merito dell’import di veicoli cinesi negli USA, si capisce ancor meglio che quel 100% annunciato è pura campagna elettorale, con l’occhio strizzato verso gli swing States a voto presidenziale incerto in cui si concentra parte dell’industria dell’auto USA: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Ma nel 2022 gli USA esportavano auto in Cina per oltre 6 miliardi di dollari e la Cina verso gli Usa per poco più di un miliardo, per lo più prodotte in Cina da General Motors e Ford, e in minori proporzioni da Volvo e Polestar che appartengono al gruppo cinese Geely. Nel primo trimestre 2024 sono state vendute negli States solo poco più di 2 mila vetture Geely.  

 

Al confronto, l’aumento annunciato dei dazi su farmaci e dispositivi medici pesa economicamente molto di più , visto che gli USA ne hanno importato per oltre 30 miliardi di dollari dalla Cina nel 2023. E’ vero che storicamente i repubblicani erano contro le guerre commerciali e Trump ne ha invertito la tradizione, mentre i democratici invece tradizionalmente erano più protezionisti della produzione nazionale. Ma il boomerang di questi nuovi dazi sarà  maggiore per batterie elettriche e componenti cinesi di batterie, e infatti una delle maggiori associazioni di produttori di auto USA ha subito levato un grido d’allarme. Come possiamo credere all’obiettivo di Biden, portare la quota di auto elettriche che circolano in USA dall’8% attuale addirittura al 56% nel 2032, se i produttori americani non saranno liberi di scegliere le componenti più avanzate e più economiche? La risposta dei consiglieri di Biden è che quando tra fine anni Settanta e metà anni Ottanta gli States alzarono i dazi contro le auto giapponesi, i giganti dell’auto nipponici furono costretti ad aprire  stabilimenti negli USA.

 

Attualmente, solo la Geely ha annunciato un’intenzione analoga, la cinese BYD aprirà in Messico. Ultimo argomento forte americano: i prodotti cinesi sono oggi più di ieri sussidiati dallo stato, questo è dumping intollerabile.  Verissimo: la Cina persegue militarmente il suo piano pluriennale di maxi sussidi a tecnologie di punta, su tutte le frontiere più avanzate. Ma da Trump a Biden gli Stati Uniti hanno imboccato  la stessa strada, stanziando negli anni quasi tre trilioni di dollari per recuperare il tempo perduto rispetto alla Cina e attirare in USA investimenti di grandi gruppi esteri, tra cui molti europei. E l’Europa?  La Commissione  ha aperto da poco un’indagine sui sussidi di stato cinesi. In Italia, il governo  sta cercando di attirare senza gran successo produttori cinesi come Dongfeng. Ma per un paese come l’Italia, trasformatore e povero di materie prime e senza l’autonomia energetica che invece gli USA hanno riconquistato, la guerra commerciale tra Usa e Cina è solo foriera di danni, non certo di vantaggi.

Di più su questi argomenti: