Numeri contrastanti

Il pil dell'Italia è tornato ai livelli del 2007, ma il debito pubblico torna a crescere

Stefano Cingolani

Il sentiero stretto di Meloni tra crescita debole e debito che cresce. Cosa dicono le ultime statistiche di Istat e Commissione 

E’ stato un gran triennio: dal 2021 al 2023 l’economia italiana, uscita dalla pandemia, ha fatto un balzo con il pil tornato ai livelli del 2007, prima della grande crisi finanziaria. Ben 17 anni in salita durante i quali il divario con i principali paesi s’è fatto più largo: 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia, 17 con la Germania. Se si confronta il 2023 con il 2000 il gap sale a 20 punti con Germania e Francia e  a 30 con la Spagna. Dunque, l’Italia s’è mossa con lena, ma non abbastanza. Nei primi mesi del 2024 la spinta s’è indebolita. Anche se la locomotiva più potente, l’industria manifatturiera esportatrice, comincia a sbuffare, i veri problemi non vengono da qui, ma dalla finanza pubblica e in particolare dal debito. 


Ieri è arrivata un’abboffata di dati: prima il rapporto annuale dell’Istat che fotografa il faticoso recupero del pil, poi le previsioni della Commissione Ue che fotografano il peggioramento dei conti dello stato, un fardello pesante in vista del negoziato che si aprirà  dopo le elezioni di giugno, quando l’Italia finirà quasi certamente in procedura d’infrazione e sarà necessario mettere in cantiere un percorso di rientro che riduce ai minimi termini gli spazi di manovra della politica di bilancio. Cominciamo da quel che ci aspetta nel prossimo futuro prima di dare un’occhiata al passato prossimo.

 

La commissione stima una crescita dello 0,9 per cento quest’anno e dell’1,1 l’anno prossimo, percentuali molto vicine a quelle del governo. La caduta dei prezzi dell’energia porterà l’inflazione all’1,6 per cento, una discesa più rapida che in altri paesi grazie alla migliore capacità di staccare la spina del gas russo. Resta debole la domanda interna per consumi, la disoccupazione scenderà verso il 7,3 per cento nel 2025, e si prevede un aumento dei salari superiori all’inflazione soprattutto nei servizi e nella pubblica amministrazione. E qui si conclude la faccia buona della medaglia. 


L’altra riguarda la finanza pubblica. Migliora il deficit che scende dal 7,4 per cento dello scorso anno al 4,4 grazie a un aumento delle entrate e al minore impatto degli incentivi edilizi. Ma l’anno successivo salirà al 4,7 per cento. La spesa primaria è dominata dall’indicizzazione delle pensioni e dal rinnovo dei contratti pubblici e non è compensata da una spending review di appena lo 0,1 per cento. Gli interessi sul debito con le nuove emissioni di titoli pubblici saliranno al 4 per cento. E qui incontriamo il grande macigno. Il debito sul pil peggiora dal 137,3 al 138,6 per cento quest’anno e arriva al 141,7 per cento nel 2025. Più determinata la Grecia dove il debito pubblico cala dal 161,9 al 149,3 per cento del pil nel 2025. La Commissione sottolinea l’impatto perverso del Superbonus. E Giancarlo Giorgetti spiega che “sul debito gravano  per cassa negli anni prossimi gli effetti negativi. D’altra parte i dati europei sul rapporto  debito/pil non incorporano i recentissimi provvedimenti che avranno effetti positivi sui conti”. Paolo Gentiloni, Commissario europeo all’Economia ha apprezzato la prudenza del governo, ma ha avvertito che si preannuncia una “estate calda per i conti pubblici”. 


Il 19 giugno si vedrà a quali paesi applicare la procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Due giorni dopo verranno date ai paesi membri le linee guida e le traiettorie da seguire per i piani a medio termine che andranno consegnati a settembre. Poi cominceranno le trattative che sfoceranno a novembre nelle raccomandazioni per le manovre correttive. 
    Peseranno non solo le cifre nude e crude, ma le tendenze. Per l’Italia conterà dunque leggere le indicazioni del rapporto annuale dell’Istat dal quale emerge un’immagine in movimento. La velocità maggiore viene dall’industria manifatturiera. Anche se indietro nella diffusione delle tecnologie digitali e nell’intelligenza artificiale, le imprese si stanno riorganizzando. Negli ultimi vent’anni il paese ha mantenuto la propria posizione sui mercati internazionali dei beni, nonostante gli enormi cambiamenti dovuti alla Cina e ai paesi emergenti. “Molto meno positiva – scrive l’Istat – è stata la performance nei servizi. Ciò ha contribuito a indebolire l’andamento dell’economia e ha incrementato la dipendenza dall’estero del sistema produttivo”. Impegnata nella quinta rivoluzione industriale, l’Italia deve ancora fare la seconda rivoluzione dei servizi.

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