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La strategia energetica per il futuro di cui l'Italia ha bisogno

Mariarosaria Marchesano

Il governo Meloni sta cercando di sfruttare il nuovo ordine energetico mondiale proponendosi come ponte tra nord e sud dell’Europa dopo che l’aggressione della Russia all’Ucraina ha cancellato l’asse tra est ed ovest

Una domanda che bisognerebbe porsi a proposito di competitività dell’industria italiana è se le imprese del paese hanno accesso ai beni energetici a prezzi non troppo dissimili dalle concorrenti europee. La risposta è che l’approvvigionamento energetico rappresenta ancora una fonte di incertezza se non di svantaggio per l’economia nazionale. E questo perché, di fronte alla difficoltà dell’Europa di adottare una politica comune – lo si è visto con il mancato accordo sul price cap e con le politiche diversificate per i sussidi ai prezzi all’interno dell’Unione europea – l’Italia deve ancora definire una strategia energetica per il futuro.

Il governo Meloni sta cercando di sfruttare il nuovo ordine energetico mondiale proponendosi come ponte tra nord e sud dell’Europa dopo che l’aggressione della Russia all’Ucraina ha cancellato l’asse tra est ed ovest. Addirittura, secondo alcuni analisti, l’Italia potrebbe assumere un ruolo di garante per la sicurezza energetica europea. Ma questi processi sono molto lenti e intanto ogni paese va avanti per la sua strada cercando di avvantaggiare il proprio sistema produttivo. La Germania ha puntato su eolico, fotovoltaico e idrogeno e per non restare spiazzata dalla chiusura delle centrali a carbone e di quelle nucleari e sta riscoprendo quelle a gas. La Francia rafforza la sua scelta sul nucleare ed è riuscita a farlo includere nella tassonomia europea (la griglia delle fonti energetiche dichiarate sostenibili). La Spagna ha scelto la diversificazione tra fotovoltaico, eolico e apertura di nuovi impianti (sovvenzionati dall’Ue) per l’importazione di gas naturale liquefatto. Norvegia e Svezia, a integrazione della produzione idroelettrica stanno cercando nuove alternative (il governo svedese, per esempio, ha annunciato un piano per ampliare l’offerta nucleare). Insomma, ciascuno stato ha deciso di procedere autonomamente piuttosto che impegnarsi per un accordo complessivo europeo. Dal canto suo, l’Italia è anche un paese virtuoso perché la sua industria pesante produce meno emissioni rispetto, per esempio, alla Germania, e questo grazie alle tecnologie avanzate utilizzate nei settori hard to abate come la siderurgia. Ma non ha ancora un piano per garantire il fabbisogno energetico dei prossimi vent’anni a condizioni di prezzo equiparabili a quelle degli altri paesi. Né è pensabile che il governo, visti i limiti di bilancio, continui ad erogare all’infinito sussidi per rendere più accessibili i prezzi alle imprese e ai cittadini. D’altronde, proprio in queste settimane la Commissione europea ha raccomandato ai paesi dell’Unione la revoca dei sussidi all’energia per ridurre i disavanzi pubblici. Così l’unica strada per l’Italia è sfruttare il vantaggio della sua posizione geografica e la presenza di alcuni tipi di infrastrutture per intensificare l’importazione di gas. Le prospettive in questo senso sono favorevoli grazie al previsto aumento della produzione all’interno del Bacino del Mediterraneo (Algeria, Cipro, Egitto e Libia hanno tutti in programma di intensificare lo sfruttamento dei bacini di gas) che avrà anche l’effetto di generare una riduzione dei prezzi. In questo processo potrebbe svolgere un ruolo di primo piano anche l’Eni che domina le tecnologie per la cattura di emissioni di C02 e il loro riutilizzo ed eroga già il servizio in paesi esteri come il Regno Unito. Finora c’è stata una certa prudenza all’adozione su vasta scala di queste tecnologie osteggiate a livello europeo da un’ideologia estremista che ritiene che il gas, molto meno inquinante del carbone, non possa essere utilizzato neppure se decarbonizzato. Senza dimenticare la necessità di sviluppare anche per l’Italia una possibile strategia sul nucleare. Ovviamente, bisognerebbe cercare di scardinare certe resistenze e affrontare problemi di costi, ma per l’Italia è l’unico modo per affrontare la transizione energetica senza affossare la sua industria. Al di là di ogni dibattito, il mondo moderno non può esistere senza settori come quello del cemento, dell’acciaio e dei prodotti chimici, che sono essenziali anche in una green economy. Non bisognerebbe dimenticare che anche le imprese coinvolte nella costruzione di parchi eolici e fattorie solari producono C02. La transizione deve avere i suoi tempi.