difficoltà istituzionali e tecniche
Strategie e comunicazioni sbagliate dietro il Pnrr
La revisione del ministro Fitto ha tagliato 10 miliardi di progetti inizialmente in quota ai comuni, destinandoli alle imprese. Il rischio è che il Pnrr subisca notevoli ritardi
Il Pnrr è fondamentale per la crescita e quindi per la tenuta dei conti pubblici. Tutto ruota attorno alla revisione del ministro Fitto che si può leggere in due modi: il primo che ha migliorato le possibilità di riuscita del piano e cancellato dal Pnrr progetti più a rischio; il secondo è che, invece, avendo fatto perdere più di un anno alle amministrazioni, ha ulteriormente compromesso le capacità di esecuzione del piano che già eranomesse a dura prova.
Pur avendo pochi dati a disposizione perché il sistema di monitoraggio Regis funziona con molto ritardo, Fitto ha insistito sulla revisione del piano che finalmente ha visto la luce in dicembre dopo un anno di attesa. Una cosa sicura è che quella revisione ha tagliato circa 10 miliardi di progetti, la maggior parte dei quali riguardanti i comuni, per sostituirli con progetti destinati alle imprese per più di 22 miliardi tra nuove misure Pnrr e Repower Eu (tra queste 6 miliardi per industria 5.0). I comuni si sono arrabbiati, e al danno si è aggiunta la beffa, perché il ministro Giorgetti ha imposto il taglio dei trasferimenti di parte corrente ai comuni in proporzione ai fondi stanziati per il Pnrr. Un disincentivo a portare a termine il Pnrr: i comuni si sono sempre lamentati che il completamento di qualunque investimento avrebbe comportato maggiori spese correnti, ora addirittura si esplicita che ci saranno minori, invece che maggiori, trasferimenti.
I 10 miliardi di definanziamento ai comuni sono stati compensati con i fondi che erano per essi previsti prima dell’arrivo del Pnrr. Ciò ha però creato la necessità di trovare la copertura per i nuovi progetti del Pnrr e Repower Eu, a detta del ministro di più rapida implementazione. Poiché l’operazione doveva essere fatta senza aggravio per le finanze pubbliche, si è provveduto a definanziare altri programmi fuori dal Pnrr. Tra questi, alcune voci di rilievo riguardano 4,5 miliardi del Piano nazionale complementare, tra cui spiccano 1,2 miliardi tolti alla messa in sicurezza degli ospedali, i quasi 3 miliardi di contributi ordinari agli investimenti comunali e i 5 miliardi dei residui dei fondi di coesione 2021-2027. Insomma, un gran carosello di scambi di fonti di finanziamento. Il ministro non dice tuttavia in modo puntuale quali sono i singoli progetti specifici cancellati dal finanziamento Pnrr e quali quelli mantenuti.
La strategia rischia di essere doppiamente sbagliata: prima perché per mesi i comuni erano fermi in attesa della revisione del Pnrr; adesso perché, avendo finanziato tutti i progetti ma non avendo detto quali sono dentro e quali sono fuori dal Pnrr, i comuni potranno prendersi tempo sperando di essere fuori dal Pnrr: più tempo e meno grane di rendicontazione. E’ vero che formalmente sono tutti tenuti agli stessi target, ma chi ci crede… una volta fuori dal Pnrr si è privi dei suoi vincoli, soprattutto del tanto temuto Dnsh (do no significant harm) che costringe a dimostrare di non aver danneggiato l’ambiente.
In teoria, l’utilizzo dei fondi per la coesione a copertura delle misure escluse dal Pnrr consentirebbe la loro realizzazione in un orizzonte temporale più ampio e permetterebbe di evitare il ricorso a risorse nazionali, cha abbiamo visto di fatto implicano il definanziamento di altre misure. Tuttavia, sebbene il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) sembri avere disponibilità finanziaria, la normativa attuale ne riserva l’80 per cento alle regioni meridionali, mentre la quota di competenza del Mezzogiorno relativa alle misure definanziate si ferma al 47 per cento. Non ci sarebbero abbastanza risorse da allocare al centronord per coprire la sua quota di competenza.
Oltre a queste difficoltà istituzionali e tecniche oggettive, Fitto ha accentrato il monitoraggio dei fondi europei ordinari. La programmazione dei fondi europei ordinari tocca di diritto alle regioni, accentrando a sé il potere di monitoraggio in virtù del fatto che devono essere coordinati con il Pnrr, Fitto ha fatto arrabbiare le regioni a cui ultimamente il Consiglio di stato ha dato ragione (almeno per quanto riguarda la Campania). Neppure i ministeri sono contenti di dover rendere conto al ministro della loro programmazione dei fondi. Se comunque i soldi c’erano per finanziare tutto, non si capisce perché perdere più di un anno per la revisione. Il danno più grande della revisione rischia di essere il perenne litigio istituzionale solo parzialmente coperto dalla consonanza di maggioranza tra regioni e governo. Se poi Fitto dovesse abbandonare questo nuovo complicato castello per andare in Europa sarebbe davvero il colmo.