L'analisi
Guardare il caso Vicenza e capire che c'è una crisi in arrivo in Italia
La produzione industriale della provincia fa segnare il quarto trimestre di decrescita: il calo è del 5,2 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Segnali che il governo non può più fingere di non vedere
I dati del primo trimestre del 2024 della produzione industriale vicentina, ovvero quelli di una provincia inserita nelle catene del valore europee e mondali tanto da avere il terzo export italiano nonostante i soli 840.000 abitanti, sono drammatici: un calo del 5,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Questo è il quarto trimestre consecutivo di decrescita dopo il -3,79% nel II trimestre 2023, il -5,4% nel III, il -2,5% nel IV. Una discesa lunga un anno intero che indica chiaramente come non si tratti di una fluttuazione temporanea, ma di una crisi strutturale che richiede interventi urgenti. A Vicenza sentiamo prima i movimenti tellurici del mercato internazionale proprio per la connessione che abbiamo con il mondo. E per questo avevamo messo in guardia per tempo sia il governo che la Commissione. Perché quello che succede, da un punto di vista della produzione industriale, nel nostro territorio, a breve scadenza accade anche nel resto d’Italia.
Ora la recessione industriale è una realtà. Abbiamo bisogno di un piano chiaro e deciso per rilanciare la nostra economia. L'Italia deve mettere al centro la produttività, gli investimenti e l'innovazione. È cruciale che la politica ascolti e agisca rapidamente, adottando misure concrete e sostenibili per supportare l'industria. Non possiamo permetterci di illuderci che il momento positivo del turismo, che produce lavoro spesso stagionale e con condizioni e retribuzioni inferiori rispetto alla manifattura, possa sostenere l'intera economia italiana. Il paese si sostiene con la manifattura, l’innovazione che porta e che va stimolata, il relativo valore aggiunto e il suo export. Il settore manifatturiero è sotto attacco, colpito da un contesto internazionale instabile e che soffre, terribilmente, di un’Europa debole quando non, come più volte si è dimostrata durante il mandato di questa Commissione, addirittura ostile all’industria. Le recenti regolamentazioni europee, specialmente in campo ambientale, sono state implementate senza la necessaria considerazione per la loro fattibilità e sostenibilità.
La spinta verso il “tutto elettrico” nell’automotive, ad esempio, ha imposto costi insostenibili non solo dal lato della produzione, ma anche lato consumatore. Quanti, oggi, possono permettersi un’auto elettrica? Il tutto, poi, è aggravato dalla dipendenza da materie prime la cui estrazione ha costi ambientali terrificanti e che sono controllate principalmente dalla Cina. Il rischio è lo stesso che abbiamo vissuto con il gas russo: dipendere, per commodity irrinunciabili, da un quasi monopolista. Ed essere quindi ricattabili. Non è un caso che, su questo tema, sotto elezioni, la stessa UE abbia inizio a fare qualche marcia indietro, ma ha anche deciso di non decidere. Ovvero non ha valutato con l’industria e l’accademia d’Europa alcuna direzione alternativa da prendere. È evidente che dobbiamo cercare strade alternative e tempi più adeguati a ridurre le emissioni di CO2 in modo sostenibile. Cosa che ritengo assolutamente alla portata della tecnologia del nostro continente, ma serve una pianificazione seria e una direzione. Non c’è né l’una né l’altra.
Un altro esempio emblematico riguarda la gestione degli imballaggi. L'Italia è un campione mondiale nel riciclo, ma le recenti politiche europee sembrano privilegiare il riuso, anche in ambiti dove è francamente impraticabile. Questo non solo penalizza le nostre aziende, ma ostacola un sistema di riciclo efficiente e già consolidato. Queste politiche devono essere riviste per evitare di danneggiare ulteriormente il nostro settore industriale. Inoltre, la distorta applicazione delle sanzioni sta penalizzando inutilmente le nostre esportazioni. Prodotti non dual-use, che non hanno alcun legame con il mercato bellico, vengono bloccati, causando danni significativi alle nostre imprese. È inaccettabile che beni destinati a servizi essenziali, come quelli sanitari, vengano fermati senza motivi tecnici validi. Questa situazione richiede un immediato intervento politico per garantire che le sanzioni siano applicate in modo razionale e mirato, evitando danni collaterali alle industrie civili. Abbiamo bisogno di un'Europa che legiferi con attenzione alla difesa del lavoro e dell'industria. Mentre i nostri concorrenti internazionali avanzano, noi restiamo indietro. Il PNRR, che avrebbe dovuto promuovere l’innovazione e la produttività, è stato spesso usato per finanziare progetti che da anni ristagnavano da anni nei cassetti dei Ministeri, delle Regioni o dei Comuni. Ma il PNRR non è un tesoretto per esaudire desideri (magari elettorali) latenti. Deve (doveva?) essere uno sprone decisivo all’innovazione, alla crescita della produttività stagnante da troppo tempo, al disincagliamento della macchina pubblica, alle riforme strutturali. È inaccettabile che risorse così cruciali vengano sprecate in iniziative che non hanno un impatto reale sulla competitività e la crescita del nostro Paese. In questo senso, le prossime elezioni europee rappresentano un’opportunità decisiva per rivedere le politiche attuali e adottare un approccio più equilibrato e orientato alla crescita. Come associazione, dobbiamo vedere l'UE come un interlocutore fondamentale e il neopresidente nazionale di Confindustria Emanuele Orsini ha fatto benissimo a indicare questo punto come priorità del suo mandato.
L'Italia e l'Europa devono uscire da questa fase di gestione inefficace e ridare centralità all'industria. Solo attraverso una strategia coordinata e lungimirante possiamo sperare di risollevare il nostro settore industriale e, con esso, l'intera economia italiana. Invece, anche a pochi giorni dal voto, di questi temi non si parla minimamente. I partiti hanno trattato questa tornata elettorale come le precedenti, ovvero come campo per misurare gli equilibri interni. È un atteggiamento tossico e autodistruttivo per il Paese, perché l’Europa incide direttamente sulla nostra vita, molto più di quanto faccia il Governo nazionale. Cinque anni fa eravamo in ripresa, dopo 10 anni post crisi, ed eravamo leader mondiali da un punto di vista tecnologico e di civiltà. Ora siamo in recessione industriale, pieni di debiti contratti per sostenere un PNRR sprecato e in ritardo e bloccati nell’export. È ora che qualcuno abbia coraggio di dirlo! Non c’è più sabbia nella clessidra. È necessario un impegno collettivo da parte della politica, delle istituzioni e delle imprese per affrontare questa crisi con determinazione e visione strategica. Solo così potremo garantire un futuro solido e prospero per il nostro paese e per le generazioni future.
Laura Dalla Vecchia è presidente di Confindustria Vicenza