L'analisi
Non aver paura dell'IA e molto altro: cosa aspettarsi dalla relazione di Panetta
Il governatore della Banca d'Italia si prepara alle sue prime considerazioni finali da quando è in carica. Due i temi che non possono mancare: la politica economica della prossima Commissione europea e lo sviluppo tecnologico e industriale dell'intelligenza artificiale
Premetto che non ho la minima idea di che cosa il governatore della Banca d’Italia dirà venerdì prossimo nelle considerazioni finali che chiuderanno la relazione sul 2023, le sue prime CF (come le chiamano in gergo quelli della Banca d’Italia) da che è stato nominato. Posso però condividere con i lettori del Foglio un paio di cose che mi piacerebbe dicesse. Sappiamo da tempo che lo sviluppo economico nel tempo moderno ha un motore principale: l’innovazione, cioè quel continuum di teorie scientifiche, applicazioni tecnologiche e conseguenti politiche commerciali, ogni volta nuove rispetto alle precedenti, che alla fine si riverberano sui consumatori, conquistandone di momento in momento il favore mutevole e volatile.
L’economia più grande e dinamica del mondo – quella americana – produce innovazioni da almeno un secolo e mezzo, con le quali ha dominato il mondo. Il governo americano ha sempre lasciato che fossero soprattutto le imprese private a pensarci, ma sostenendole con robuste politiche industriali. L’economia inseguitrice degli ultimi anni – quella cinese – non è una vera economia di mercato, quindi il governo cinese non si fa scrupolo di sospingere con direttive e incentivi le proprie imprese, pubbliche di diritto o di fatto, a ricercare innovazioni.
L’Europa avrebbe tutte le capacità scientifiche, tecnologiche e imprenditoriali per partecipare da pari a pari alla corsa del progresso, ma le sue politiche pubbliche si guardano l’ombelico anziché scrutare l’orizzonte: se sono nazionali mancano del respiro sufficiente, perché nessun paese europeo, neanche la Germania, ha da solo le forze per compiere avanzamenti decisivi sul terreno della scienza e della tecnologia; se sono comunitarie, badano prevalentemente a impedire che il settore pubblico privilegi questa o quella impresa, perché ciò danneggerebbe nell’immediato i consumatori interni.
Ecco allora una prima cosa che mi piacerebbe fosse detta dal Governatore Panetta: la nuova Commissione europea che sarà formata dopo le elezioni del prossimo giugno deve prendere l’iniziativa di un ripensamento radicale della strategia di politica economica dell’Unione, riducendo l’enfasi sulla tutela della concorrenza nel mercato interno, che ha tanti meriti ma a volte diviene ossessiva e irragionevole, e accrescendola sull’aiuto, in primis regolamentare, a scienziati, tecnologi e imprenditori perché moltiplichino i loro sforzi innovativi, aiuto che oggi, pur se sommato a quelli nazionali, non tiene il passo con l’enorme stimolo messo in campo nei due altri colossi. Seguendo anche le indicazioni anticipate il 23 aprile da Mario Draghi, che saranno contenute nel suo rapporto sulla competitività europea.
Il balzo in avanti della tecnologia che oggi si annuncia va sotto il nome di Intelligenza Artificiale. Macchine che imparano dalla loro stessa esperienza, senza bisogno che un programmatore/insegnante dica loro come fare. Il tema è uscito dai circoli accademici e dai laboratori di università e imprese un paio di anni fa ed è deflagrato da allora nelle opinioni pubbliche di tutto il mondo. Ma l’IA potrebbe diventare davvero inarrestabile quando saranno a regime quei dispositivi computazionali che sfruttano i principi della meccanica quantistica, sui quali migliaia di scienziati stanno affannosamente lavorando da anni ma che invece ancora non hanno colpito l’immaginazione dei cittadini comuni. I computer quantistici promettono di moltiplicare la capacità di calcolo di quelli tradizionali in misura a volte esponenziale. Potendo contare su una tale smisurata capacità l’autoapprendimento dell’IA potrebbe diventare enormemente più rapido ed esteso. Dunque, se si crede, come io credo, che l’IA sia una manna per l’umanità (se opportunamente regolata, ovviamente) allora il quantum computing potrebbe esserne l’abilitatore. Il punto da tenere presente è che gli studi in questo campo vedono già l’Europa, e l’Italia!, spesso sulla frontiera avanzata, testa a testa con americani e cinesi.
Si tratta, certo, di un terreno molto distante dalle responsabilità e dalle competenze di una banca centrale. Tuttavia stiamo parlando delle radici dello sviluppo economico futuro; inoltre, la Banca d’Italia non è una banca centrale qualunque. Non lo è per regioni storiche, perché nel nostro paese essa ha rappresentato un modello di competenza in campo economico e finanziario. Il suo ufficio studi, alimentato negli anni con i migliori talenti per la ricerca, è oggi molto grande e ha una vocazione enciclopedica, estensibile financo all’informazione quantistica e alle sue ricadute sull’economia. Allora mi piacerebbe che il Governatore, nel suo più importante discorso dell’anno, annunciasse che buona parte delle risorse intellettuali della Banca d’Italia saranno d’ora in poi dedicate a capire come la nostra economia possa svilupparsi facendo perno sugli avanzamenti più promettenti della scienza e della tecnologia.