Trochetti Provera nello Stabilimento Pirelli di Settimo Torinese nel 2014 (Foto Marco Alpozzi - LaPresse) 

Silk Road lascia Pirelli: un caso di scuola nel business con Pechino

Mariarosaria Marchesano

La ritirata cinese, l'intervento del governo Meloni e il futuro della storica azienda di pneumatici. Tronchetti Provera rafforza la presa, ma il destino di Pirelli resta appeso a nuovi assetti internazionali e finanziari. Una grande sfida per il capitalismo italiano

Sembrano lontani i tempi in cui Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo e amministratore delegato di Pirelli, si congratulava per la nascita della Sinochem Holding augurando “a un’azienda globale così importante il successo che merita”. Era fine maggio 2021 e i due colossi della chimica cinese, ChemChina e Sinochem Corporation, si consociavano sotto il controllo del governo di Pechino dando vita ad un’unica realtà, la Sinochem Holding appunto, che a tutt’oggi è il principale azionista del produttore nazionale di pneumatici che ha appena visto l’uscita dell’altro socio asiatico, Silk Road. Da lì a poco i rapporti tra Tronchetti e i soci cinesi avrebbero cominciato a deteriorarsi fino a che i tentativi di sforamento dei patti di governance da parte di questi ultimi hanno indotto il governo Meloni a intervenire con l’esercizio del golden power per ristabilire un equilibrio. 

  
Si è arrivati così alla ritirata del fondo Silk Road (anch’esso sotto il diretto controllo di Pechino), mossa che ha sancito la rottura del fronte cinese che controllava Pirelli da alcuni anni e che, però, non è stata accolta bene a Piazza Affari (il titolo ha perso oltre il 4 per cento) per due ragioni. La prima è di carattere tecnico: il collocamento lampo del 9 per cento della quota di Silk Road è avvenuto, come si suol dire, “a sconto” rispetto ai più recenti prezzi di mercato, provocando una riduzione del valore complessivo di Borsa della società. La seconda ragione ha carattere prospettico, poiché per Pirelli potrebbe aprirsi una fase di incertezza con ulteriori movimenti societari. 

   
Il fatto è che Sinochem detiene ancora una partecipazione del 37 per cento che si confronta con il 20,6 per cento nelle mani cassaforte di Tronchetti Provera, dopo che nell’ultimo semestre l’imprenditore ha rafforzato la sua “presa” sul capitale dell’azienda, e il 6 per cento di Brembo. Insomma, tutto il fronte dei soci italiani è inferiore di circa 10 punti rispetto al pacchetto nelle mani della holding cinese. Gli analisti di Equita, Mediobanca e Intesa Sanpaolo sono concordi nel ritenere che prima o poi anche Sinochem venderà, perché i cinesi non sono interessati a restare in una società in cui non comandano più e gli alleati italiani tengono il punto su tutte le questioni  strategiche come il controllo delle tecnologie. Ma è proprio questo il punto. Chi comprerà? E chi controlla oggi Pirelli? I nuovi equilibri geopolitici, con il ridimensionamento della presenza cinese negli assetti azionari europei, pongono una grande sfida al capitalismo italiano, che deve trovare energie, risorse e nuove alleanze internazionali per riprendere il controllo di società strategiche come Pirelli. Quello che si è visto con l’Inter, con l’uscita del magnate cinese Steven Zhan e l’arrivo del fondo americano Oaktree, potrebbe ripetersi anche in altre situazioni. 

   
Del resto, i fondi di private equity americani, ritenuti molto liquidi, non aspettano altro che opportunità d’investimento in realtà che, come Pirelli, detengono know how in settori in crescita sul mercato globale come quello degli pneumatici e della gomma. Parallelamente, anche  Tronchetti Provera sta mostrando interesse a salire ulteriormente nel capitale della “sua” Pirelli. Ma una scalata fino a riprendersi la maggioranza costerebbe qualche miliardo, risorse che potrebbe trovare anche grazie al supporto del sistema bancario, che sta attraversando un momento d’oro. Ma chissà, gli istituti di credito sono diventati molto selettivi nelle politiche di finanziamento e Pirelli ha pur sempre un indebitamento salito a 2,9 miliardi nel primo trimestre 2024, pari a poco meno della metà dei ricavi e di quanto la società capitalizza in Borsa. 

   
Molto più probabilmente, ritengono alcuni osservatori, Tronchetti Provera continuerà a consolidare la presenza in Pirelli (acquistando almeno un altro 2 o 3 per cento) e  operatori finanziari terzi, italiani e stranieri, attualmente alla finestra, si faranno avanti quando sarà più evidente la volontà della Sinochem di uscire di scena. Quel che insegna la vicenda Pirelli è che il cambiamento negli equilibri internazionali si riflette direttamente nella vita di alcuni tipi di aziende, e  il percorso di ritorno “all’italianità” non è gratis.

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