lo scenario
Salari e inflazione frenano il calo dei tassi in America. Bce vs Fed?
Negli Stati Uniti i dati sul mercato del lavoro a maggio hanno superato le aspettative e l'inflazione sembra più persistente rispetto all'Europa: le politiche monetarie delle due banche centrali potrebbero divergere per la prima volta
Secondo il Cme FedWatch Tool – la piattaforma che negli Stati Uniti fornisce a investitori, analisti ed economisti una misura delle aspettative del mercato per la futura politica monetaria della Federal reserve – le possibilità di un primo taglio dei tassi a settembre sono calate dal 55,4 al 50 per cento dopo che i dati sul mercato del lavoro americano a maggio sono stati superiori alle attese. Nel mese in questione sono stati creati, infatti, più di 270 mila posti di lavoro contro le aspettative di 190 mila degli analisti e i salari, rispetto all’anno precedente, sono aumentati del 4,08 per cento. Dovrebbe essere una buona notizia, e sicuramente lo è per le famiglie americane, ma è anche la temuta conferma che nel paese si sta creando una spinta inflazionistica che potrebbe ulteriormente scoraggiare la Fed di Jerome Powell a fare il primo passo per ridurre il costo del denaro come ha fatto la Bce in Europa giovedì, sebbene tenendosi mani libere sulle mosse future.
Qualcosa in più si capirà mercoledì prossimo quando negli Stati Uniti sarà pubblicato il dato finale sull’inflazione di maggio (ad aprile è leggermente rallentata al 3,4 per cento ma è comunque superiore alle attese). Oggi in molti guardano a Washington per capire cosa succederà a Francoforte, visto che da sempre la Fed svolge il ruolo di faro della politica monetaria mondiale. Come ha sintetizzato il capo economista Emea di S&P, Sylvain Broyer, è improbabile che la Bce effettui più di due tagli in solitaria prima che la Fed inizi quest’anno a tagliare. Nel dettaglio, Sylvain spiega che la decisione della Bce di alzare i tassi dopo la Fed e tagliarli prima “indica dinamiche inflazionistiche differenti al di là dell’Atlantico”.
In effetti, mentre in America si registra più un’inflazione da domanda che sta diventando persistente, “per quanto concerne invece l’area euro, importante sarà la dinamica delle componenti energetiche, in particolare il gas, durante l’estate, in corrispondenza della fase di ricostituzione delle scorte”, spiega lo strategist di Intermonte, Antonio Cesarano.
Per la verità anche in Europa l’economia è in ripresa e le dinamiche salariali sono attentamente monitorate, dato sottolineato dalla stessa presidente della Bce, Christine Lagarde, che non a caso ha parlato di percorso “accidentato” di riduzione dell’inflazione verso il target del 2 per cento. Ma per qualche ragione, secondo alcuni anche per un tema reputazionale, la Banca centrale europea non se l’è sentita di venire meno alla promessa fatta di primo taglio dei tassi, mentre negli Stati Uniti la Fed sembra proprio non avere fretta e si vede da come ha spostato nuovamente la narrazione verso l’higher for longer (tassi più alti più a lungo).
Secondo Alessandro Tentori, economista di Axa Im, “negli Stati Uniti si profila uno scenario di stretta monetaria prolungata e un’inflazione che potrebbe mantenersi al di sopra del livello target”. In Europa non c’è ancora questa visione, anzi continua a trapelare un certo ottimismo sulla frequenza di tagli futuri della Bce dalle analisi che sono in circolazione. Senza contare i pareri di autorevoli osservatori, come l’economista Salvatore Rossi, che, nel commentare sul Foglio la decisione della Bce di giovedì di ridurre i tassi dello 0,25 per cento, ha detto che si sarebbe potuto fare anche di più. Alla fine, c’è chi crede sia arrivato davvero il momento in cui, per la prima volta nella storia, le politiche monetarie delle due principali banche centrali, Bce e Fed, cominceranno a divergere. Ma S&P crede poco a una Lagarde “solitaria” e sfidante, per questo prevede che non ci sarà un vero “sorpasso” della Bce sulla Fed. Anche a costo di reprimere un po’ la ripresa economica europea. Una tesi credibile.