il colloquio
L'energia che serve all'industria per essere competitiva. Parla Regina (Confindustria)
“La priorità è ridurre il costo e il nucleare è indispensabile nel mix del futuro. Ma serve una cabina di regia a Palazzo Chigi: non può esserci schizofrenia come con il decreto Agricoltura", dice il delegato per l'energia del presidente Orsini
“Ridurre il costo dell’energia è la riforma più urgente da fare, ne va della nostra crescita e della creazione di posti di lavoro”. Se c’è una priorità per l’industria italiana, dice al Foglio Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’energia, oggi è questa. E riguarda tanto l’azione del governo quanto quella della nuova legislatura che inizia a Bruxelles. Partiamo da Roma. “Ci vuole una cabina di regia articolata a Palazzo Chigi”, è la richiesta di Confindustria: “L’energia è un tema dirimente per il futuro del nostro paese. A Giorgia Meloni questa visione è molto chiara ma ci sono una serie di implicazioni tecnico giuridiche che necessitano di una cabina di regia più strutturata”.
L’esempio più recente di cosa accade quando non si coordinano le competenze dei diversi ministeri è il decreto Agricoltura, attualmente all’esame del Parlamento: la tutela dei terreni agricoli di cui si è fatto portavoce il ministro Francesco Lollobrigida produce limitazioni all’installazione di pannelli fotovoltaici, con conseguenze su alcuni provvedimenti fermi al ministero guidato da Gilberto Pichetto Fratin (Mase) e sui prezzi. “Non può esserci schizofrenia: quando si adotta una strategia bisogna portarla avanti in blocco. Invece – dice Regina – da una parte c’è il Mase che spinge per l’electricity release (che prevede prezzi ridotti per l’industria energivora a fronte di investimenti sulle rinnovabili), dall’altra il ministero dell’Agricoltura che limita drasticamente l’utilizzo del suolo. Non si mette in discussione che il decreto abbia un fondamento corretto, ma esclude anche altre possibilità come i siti orfani oggetto di bonifica e la cosiddetta solar belt, cioè i terreni che si trovano entro 500 metri dagli stabilimenti industriali”. Il problema, sottolinea Regina, è che limitare l’utilizzo del suolo significa anche aumentare i prezzi: “In Italia il prezzo delle rinnovabili è più alto per il costo dei terreni, del permitting, delle autorizzazioni, per le lungaggini burocratiche tra regioni e stato: migliorare questi aspetti è un compito nazionale, non ci si può nascondere dietro l’alibi della burocrazia europea”.
Che sia nazionale o europeo, ogni provvedimento deve essere sempre valutato secondo una premessa: “La politica energetica si definisce su tre pilasti: competitività, sicurezza e decarbonizzazione: non si può intervenire su uno di questi senza valutare gli impatti sugli altri”. Oggi il nervo scoperto è la competitività della nostra manifattura. “Il prezzo italiano è enormemente superiore a quello degli altri paesi europei. Il paradosso è che mentre i prezzi tornano alla normalità dopo i picchi della crisi energetica, lo svantaggio dell’Italia aumenta: all’inizio dell’anno il prezzo medio dell’energia sulla borsa elettrica era di un quarto superiore alla media, tra maggio e giugno è il doppio della media europea, con punte che arrivano a essere cinque volte superiori rispetto alla Spagna”.
Dati che preoccupano gli industriali, anche alla luce del lento e continuativo calo della produzione in Italia. “Questo gap di prezzo è diventato insostenibile per i settori energivori come acciaio, plastica, cemento, alluminio e ceramica. Inoltre, negli altri paesi europei utilizzano i proventi delle aste Ets per proteggere i settori dal rischio delocalizzazione e per supportare i progetti di transizione energetica. In Germania la cifra della compensazione dei costi indiretti è di 2,6 miliardi di euro. Da noi, su 3,5 miliardi di proventi annuali, solo 140 milioni all’anno sono per la compensazione: la metà dei proventi è utilizzata per ridurre il debito pubblico e non per la decarbonizzazione delle imprese che pagano l’Ets”. Alla base dello svantaggio di competitività dell’industria italiana c’è anche – ma non solo – il mix nazionale di produzione di energia elettrica, sbilanciato sul termoelettrico e per questo legato al prezzo del gas. Più rinnovabili e nucleare, secondo Confindustria, sono una parte centrale della soluzione insieme a una riforma del meccanismo di formazione del prezzo. “La domanda di energia elettrica è destinata ad aumentare in maniera significativa: se vogliamo raggiungere i target di decarbonizzazione abbiamo bisogno di produrre e di consumare più energia elettrica riducendo l’apporto del gas”, dice Regina. Dal punto di vista politico è un momento favorevole: come anticipato dal Foglio, il governo inserirà nell’aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima mettiamo (Pniec) anche il nucleare. “C’è una condivisione di visione e di obiettivi con l’attuale governo”, dice Regina, che aggiunge: “Pensiamo che il nucleare sia indispensabile. I piccoli reattori modulari accompagnano perfettamente i tre pilasti di cui parlavamo prima, perché incidono sul sistema dei prezzi e quindi sulla competitività, garantiscono la sicurezza e l’autonomia energetica del paese e danno un colpo importantissimo agli obiettivi di decarbonizzazione”. Per questo Confindustria sta costituendo una commissione di studio che riunisce tutta la filiera industriale del settore e le istituzioni per valutare gli aspetti legislativi, economici e tecnologici: “L’idea è di avere tutte le risposte su costi e implementazione in un paio di mesi. Visto il nostro sistema industriale parliamo di numeri sostenibili: potremmo avere 10 o 15 micro generatori per altrettanti distretti industriali”.
Guardando alla nuova Commissione europea e al nuovo Parlamento, resta centrale il tema di prezzi. “La priorità è la competitività dell’Europa: dobbiamo integrare maggiormente i mercati europei dell’energia e riformare i mercati elettrici, in modo da tenere separati i prezzi delle fonti rinnovabili e del gas”, è la proposta di Confindustria. Che auspica anche una revisione delle norme relative al mercato della Co2: “L’Ets è diventata una tassa ambientale: sul quel mercato dovevano confrontarsi le industrie per scambiare quote di Co2, non i fondi speculativi”. C’è poi l’auspicio che i nuovi equilibri politici a Bruxelles consentano di correggere il pacchetto Fit For 55 in un’ottica di neutralità tecnologica. “L’esempio è il divieto dei motori endotermici nel 2035, un approccio talebano che penalizza l’Italia più forte sul fronte dei biocarburanti”. Sullo sfondo resta il tema dei costi della transizione. Sono sostenibili per l’industria? “Bisogna avere il coraggio di varare una politica industriale comune con i fondi europei, seguendo quanto indicato da Mario Draghi”, dice Regina. Ma invertendo il senso di quanto fatto finora: “Invece di dare solo sgravi a chi compra auto elettriche o alle imprese che acquistano pannelli made in Europe vanno incentivate ricerca e sviluppo con politiche sul lato dell’offerta tecnologica come fanno gli Stati Uniti con l’Ira: una strada più tortuosa ma che dà priorità alla politica industriale europea, contribuendo alla decarbonizzazione senza arricchire altri paesi da cui diventiamo sempre più dipendenti”.