il provvedimento

Nell'Italia delle materie prime critiche riaprire le miniere non sarà facile

Maria Carla Sicilia

Il governo approva un decreto per adeguare la normativa nazionale al Critical Raw Materials Act europeo che prevede autorizzazioni semplificate per i progetti strategici e un monitoraggio di domanda e fabbisogni. Entro un anno Ispra aggiornerà la carta mineraria nazionale, ma è il riciclo ad avere maggiori possibilità di successo

Oggi il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge con cui vuole aumentare la quota di materie prime critiche estratte, recuperate e lavorate in Italia. La scommessa è ambiziosa e dovrebbe realizzarsi grazie al nuovo quadro normativo, che per i progetti riconosciuti come strategici dalla Commissione europea prevede autorizzazioni semplificate e l’accesso al Fondo nazionale del made in Italy, finora congelato, che ha una dotazione iniziale di un miliardo di euro. Ma benché l’iniziativa sia stata accolta con interesse, dal punto di vista industriale prevalgono i dubbi.

La strategia del governo Meloni, messa a punto dai ministeri del Made in Italy e dell’Ambiente, adegua la normativa nazionale al Critical Raw Materials Act, il regolamento approvato da Bruxelles che si prefigge di diminuire la dipendenza dei paesi europei per l’approvvigionamento di tutti quei materiali che servono per produrre componenti cruciali per la transizione digitale ed energetica. L’obiettivo è creare nel 2030 le condizioni affinché il 10 per cento delle materie prime critiche consumate sia estratto in Europa, mentre il 25 per cento dovrà arrivare dal riciclo. C’è anche un target sulla produzione, secondo cui l’Ue dovrebbe riuscire a lavorare nel continente il 40 per cento delle materie consumate. Numeri su cui il governo vuole esercitare un controllo. Per questo, il decreto approvato ieri istituisce un comitato tecnico in capo al Mimit che avrà il compito di monitorare le catene di approvvigionamento, controllare le scorte, segnalare e gestire eventuali crisi. Per niente secondario, a questo scopo, sarà il corretto funzionamento del registro nazionale delle aziende e delle catene del valore strategico, anche questo istituito presso il Mimit. In pratica, qualunque impresa utilizzi materie prime strategiche per fabbricare qualsiasi prodotto in Italia dovrà essere tracciata nel registro.

 

Al centro della strategia del governo c’è poi il Programma nazionale di esplorazione affidato a Ispra, che avrà il compito di aggiornare la carte mineraria e condurre indagini e campagne geochimiche. In realtà è questo il passaggio determinante per capire se l’Italia ha potenziale per tornare a essere un paese estrattivo. Le incognite sono moltissime e riguardano la profittabilità di queste operazioni industriali, i volumi disponibili, la localizzazione dei giacimenti e le condizioni di estraibilità, ma anche la capacità che l’Italia dimostrerà di avere nel competere su tempi e costi con gli altri paesi europei, impegnati nello stesso processo avviato ieri dal governo Meloni. Il tutto in un contesto industriale molto fiaccato negli ultimi decenni, nel quale sono sparite le grandi aziende minerarie nazionali e si sono indebolite quelle sopravvissute.

Il quadro potrebbe essere più chiaro nel maggio 2025, quando l’Ispra dovrà terminare l’aggiornamento della mappa. Quella attuale, che risale agli anni 70, stima che nel sottosuolo italiano ci siano 15 materie prime critiche su 34 individuate da Bruxelles. Secondo un elenco parziale ci sarebbe cobalto in Piemonte e Lazio; rame in Liguria, Toscana e nella fascia alpina; litio nell’alto Lazio; magnesio in Toscana; grafite in Piemonte e Calabria; nichel in Sardegna e nelle Alpi; tungsteno in Sardegna e nell’arco alpino; titanio metallico in Liguria, ma in un’area che oggi è parco nazionale protetto. Per le regioni la riapertura delle miniere sarebbe vantaggiosa tanto quanto l’estrazione di gas e petrolio, sebbene gli enti locali non potrebbero toccare palla nelle fasi autorizzative dei progetti. Il decreto prevede infatti delle royalty tra il 5 e il 7 per cento da dividere tra stato e regioni, incassi che potrebbero arricchire i territori ma che difficilmente spegnerebbero barricate nimby.

Un quadro più promettente potrebbe invece venire dai progetti di riciclo dei rifiuti, che in Italia sono già avviati con buoni risultati anche sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee). I progetti per la costruzione di nuovi impianti dedicati al recupero dei materiali preziosi esistono già e riguardano pannelli fotovoltaici e batterie, da cui si possono ricavare tra gli altri materiali rame, zinco, litio e cobalto. Il decreto legge adottato ieri consentirà ai progetti ritenuti strategici da Bruxelles di ricevere le autorizzazioni in 10 mesi. Non esattamente il rilancio della politica mineraria del paese, aspetto sul quale ha puntato il governo, ma eventualmente un buon risultato industriale. 

  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.