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L'analisi

Non chiamatela "austerità": è piuttosto il necessario ritorno alla normalità

Nicola Rossi

L'emergenza pandemica ha segnato la necessità di un aumento della spesa pubblica italiana: a quattro anni dal 2024 il processo di rientro non è ancora completato. Ora occorre ricostruire pazientemente margini di manovra per la politica economica

A valle dell’emergenza pandemica, la spesa pubblica ha registrato incrementi significativi in tutta l’Unione europea. Nel solo 2020, l’incremento della spesa pubblica corrente primaria (al netto, dunque, degli interessi) è stato prossimo ai 600 miliardi di euro (circa 500 miliardi di euro nella sola area dell’euro). In termini di prodotto interno lordo, l’incremento è stato vicino ai 6 punti percentuali (tanto nell’intera Unione quanto nella sola Eurozona). I numeri non divergono in misura sostanziale se si fa riferimento alla spesa primaria nella sua interezza.
 

A distanza di quattro anni dalla difficile primavera del 2020, il processo di rientro rispetto alla comprensibile espansione della spesa pubblica è visibile ma non ancora del tutto completato. In termini nominali, l’incremento di spesa pubblica corrente primaria registrato nell’Unione europea fra il 2020 e il 2023 è stato doppio, in tre anni, di quello registrato nel solo 2020 (e il rallentamento è stato ancora più pronunciato nel caso dell’Eurozona). In termini di prodotto interno lordo, grazie anche all’andamento dei livelli di attività, la spesa pubblica corrente primaria si è ridotta di oltre 4 punti percentuali (tanto nell’Unione quanto nell’Eurozona), non diversamente da quanto accaduto alla spesa pubblica primaria, comprensiva quindi delle spese in conto capitale.
 

Ciò nonostante, siamo ancora – in termini di spesa corrente primaria – circa un punto e mezzo al di sopra dei livelli del 2019 (due punti e mezzo in termini di spesa primaria), in presenza, si noti, di una pressione fiscale rimasta pressoché invariata se non addirittura leggermente più contenuta rispetto al 2019. La strada che dovrebbe riportarci alla situazione pre-pandemica non è stata, in altre parole, ancora percorsa interamente né lo è stata in maniera omogenea e in condizioni omogenee (si pensi, ad esempio, ai livelli di indebitamento) da tutti i paesi membri. In fondo, è tutta qui la radice delle procedure di infrazione per deficit eccessivo appena avviate dalla Commissione europea nei confronti di sette paesi membri fra cui l’Italia e la Francia.
 

In questa prospettiva è francamente ridicolo che ci si stracci oggi le vesti tornando a parlare di austerità. La spesa pubblica tende, notoriamente, a trasformare in permanenti incrementi che sono e dovrebbero rimanere temporanei. E, di conseguenza, è norma di elementare prudenza riassorbire gli incrementi stessi una volta che si fossero verificati, proprio perché domani o dopodomani potrebbero verificarsi nuovamente le condizioni per un nuovo, straordinario, ricorso alla spesa pubblica e mettersi, sin da oggi, in condizioni tali da non potervi far ricorso sarebbe semplicemente irresponsabile. E, questa volta sì, sarebbe la ricetta migliore per tornare all’austerità: quella vera.
 

In questo quadro, va aggiunto che non ci vuole molto per riconoscere i tratti dell’anomalia italiana. Nel caso italiano, l’incremento nella spesa primaria conseguente all’emergenza pandemica è stato di ben 8 punti percentuali, di cui ne sono stati riassorbiti, nei tre anni successivi, circa 6. Se ci si limita alla sola spesa corrente primaria, l’incremento fra 2019 e 2020 è stato pari a circa 6 punti percentuali, pressoché interamente riassorbiti – grazie anche, è ovvio, ai favorevoli ritmi di crescita – nel triennio successivo, in presenza di un incremento marginale del carico fiscale. Detto in altri termini, la politica dei bonus non solo ha prodotto gli effetti che conosciamo sui saldi di finanza pubblica e sugli stock, ma ha anche indotto effetti molto probabilmente indesiderati sulla composizione del bilancio pubblico, determinando la compressione di alcune voci di spesa corrente.
 

Chi, soprattutto all’opposizione, oggi si lamenta del finanziamento inadeguato di questa o quella voce di spesa corrente dovrebbe, prima di lamentarsi, comprenderne l’origine fino in fondo. La procedura d’infrazione per deficit eccessivo – del resto ampiamente prevista – nulla aggiunge e nulla toglie in questo senso al contesto entro il quale la politica di bilancio italiana deve muoversi nel futuro prossimo. Ricostruire pazientemente margini di manovra per la politica economica non è una richiesta dell’Europa, ma è piuttosto una stringente necessità del paese. Anche perché, questa volta, la situazione di alcuni nostri compagni di strada è tale da richiedere un di più di prudenza.

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