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dopo la tragedia di satnam singh

Quattro soluzioni concrete, e meno chiacchiere, contro il caporalato

Giuseppe L'Abbate

Dall'incrocio delle banche dati al miglioramento delle piattaforme per facilitare l’incontro tra domanda e offerta in agricoltura. E poi decreti flussi più consistenti e un rapporto diverso tra imprenditori e lavoratori. Come affrontare il problema dello sfruttamento, oltre la retorica

Ogni volta che accade una tragedia nel settore agricolo si accendono i riflettori sul caporalato, per poi dimenticarsene fino alla prossima tragedia. Il caporalato, purtroppo, è un fenomeno radicato, ma coinvolge  una minoranza delle attività agricole. La stragrande maggioranza delle imprese  ha lavoratori assunti in maniera regolare. Secondo i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl), nel 2022 su circa 5 mila  ispezioni nel settore agricolo sono state rilevate irregolarità in circa il 25 per cento dei casi. Tuttavia, questo dato va contestualizzato: su oltre 1 milione di aziende agricole attive, solo una minoranza è risultata coinvolta in pratiche di sfruttamento lavorativo. Quando ho avuto l’onore di ricoprire la carica di sottosegretario alle Politiche agricole, chiesi all’allora ministro del Lavoro, che era del mio stesso partito, di delegarmi per affrontare il problema e cercare di mettere in campo alcune soluzioni. 
 
Uno. Incrociando le banche dati di Agea, Inps e Agenzia delle entrate lo stato può fare uno screening abbastanza preciso sulle imprese agricole che fanno domanda Pac, avendo tutte le informazioni relative al fascicolo aziendale di ogni impresa  e tutti i contratti di lavoro attivati, che devono essere congrui con le attività svolte. Per ogni coltura si conoscono le rese medie e quindi la manodopera necessaria. In Spagna un sistema simile ha ridotto significativamente le irregolarità.
 
Due. E’ necessaria una piattaforma digitale istituzionale per l’incontro tra domanda e offerta in agricoltura. La struttura è già stata realizzata da Anpal: va solo adeguata alle peculiarità del settore primario e riempita con le informazioni presenti nei database di Agea (imprese con localizzazione delle relative particelle di terreno e dei luoghi di lavoro) e di Inps (lavoratori). In Francia, una piattaforma analoga ha facilitato l'incontro tra domanda e offerta di lavoro stagionale, riducendo il ricorso a intermediari illegali.
 
Tre. Per sopperire alle  esigenze di mancanza di lavoratori, bisogna aumentare il decreto flussi e mettere in collegamento i circa 350 mila lavoratori (di cui 164mila stranieri), secondo gli elenchi Inps, che storicamente non riescono a raggiungere le 50 giornate. Sono lavoratori che hanno già prestato la propria opera in agricoltura e che, magari, non sono riusciti a trovare nuove occasioni di lavoro, ma che sarebbero  propensi all’impiego dato che la 51esima giornata è il traguardo per ottenere un primo sussidio al reddito, l’assegno di disoccupazione agricola.
 
Quattro. Serve una seria riforma del rapporto di lavoro in agricoltura, perché spesso si arriva  a un tacito accordo impresa/lavoratori dove questi ultimi, una volta arrivati a 150 o 180 giornate, “chiedono” di continuare il loro rapporto di lavoro “in nero” per non perdere l’assegno di disoccupazione. Tale situazione crea una sorta di caporalato al contrario dove l’impresa, se non si “adegua”, rischia di ritrovarsi dall’oggi al domani senza possibilità di raccolta. E i prodotti agricoli sono deperibili: se non li raccogli quando è il momento, poi vanno a male.

Ovviamente non fui delegato dal ministro, per cui non se ne fece  nulla.
 

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