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L'incognita dei Lep. Per attuarli serviranno un sacco di soldi

Lorenzo Borga

Ci sono tutti i presupposti per pensare che i livelli essenziali di prestazione continueranno a rimanere lettera morta, e con loro la devolution regionale

Destra e sinistra da una settimana si danno botte da orbi sull’autonomia differenziata. Peccato che non discutano del disegno di legge appena approvato dal Parlamento, ma di proclami mai entrati in vigore. La Lega esulta perché – dicono – si potranno finalmente premiare le regioni che amministrano meglio il proprio territorio a discapito di chi invece sperpera il denaro pubblico. A sinistra invece non si fa che parlare del rischio di spaccare il paese, per una riforma che porterebbe ad accelerare la divergenza tra le ricche regioni del Nord e quelle depresse del Sud. Ebbene, niente di tutto questo è nella legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

 

Nel corso del dibattito parlamentare sono state inserite infatti diverse clausole per scongiurare il rischio di aumentare le disuguaglianze tra le regioni, che tuttavia hanno allo stesso tempo reso meno efficace la riforma nel suo intento di responsabilizzare gli amministratori e premiare i più virtuosi. La prima prevede che alle regioni che non aderiranno alle intese con il governo siano garantiti gli stessi trasferimenti ricevuti in passato. Non potranno dunque ricevere un euro di meno. Quei governatori del Sud che oggi temono con l’autonomia l’arrivo di una secessione nei fatti è sufficiente che non facciano nulla. Mentre quelli che invece sceglieranno di richiedere nuove competenze non potranno decidere autonomamente come spendere le tasse pagate dai propri contribuenti. L’autonomia differenziata manca infatti dei piedi per camminare: l’autonomia fiscale, che non è nei fatti prevista dalla riforma. La maggior parte delle tasse dei lombardi e dei veneti continueranno dunque a confluire a Roma, che poi le girerà a Milano e Venezia.

 

A cambiare saranno invece i criteri sulla base dei quali le regioni riceveranno i finanziamenti da Roma. La legge Calderoli punta infatti a riportare in vita i cosiddetti Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. In sostanza i livelli minimi di qualità dei servizi che una regione deve garantire ai propri cittadini. Il numero di posti negli asili nido, la frequenza delle corse degli autobus, e così via. I Lep sono stati previsti per la prima volta da una legge del 2009, firmata anche allora da Roberto Calderoli. Ma non sono mai entrati in vigore. Ora si punta a renderli realtà entro due anni, per stabilire così quanti soldi trasferire a ogni regione per garantire i livelli minimi delle prestazioni abbandonando il criterio dei costi storici. E questi livelli minimi, una volta definiti, la legge prescrive che siano validi ancora una volta in tutta Italia e non solo nelle regioni che faranno la richiesta dell’autonomia. 

 

E questo potrebbe portare a un risultato paradossale agli occhi di chi ha letto i giornali degli ultimi giorni. Cioè che le regioni che vedranno aumentare i fondi a disposizione saranno quelle del Sud. Una storia che abbiamo già visto per gli asili nido. Il governo Draghi nel 2021 ha introdotto standard minimi per l’offerta di servizi di cura per l’infanzia, da raggiungere entro il 2027 su tutto il territorio nazionale. Per allora dovranno essere garantiti almeno 33 posti di asilo nido ogni 100 bambini tra gli 0 e i 3 anni. Costo? Oltre 1 miliardo di euro all’anno, per il 70 per cento destinato alle regioni del Sud e alle Isole. Perché sono quelle più distanti oggi dall’obiettivo.

 

E qui casca l’asino. Per attuare per davvero i Lep serviranno un sacco di soldi, visto lo stato inaccettabile dei servizi pubblici in numerose regioni d’Italia. Da dove si prenderanno? Non dalle regioni più inefficienti, per via del principio di invarianza finanziaria per chi non aderirà alle intese prevista dalla riforma. Non dalle imposte regionali, visto che la legge non prevede una vera autonomia fiscale. Non dalla spending review, dal momento che la riforma così come uscita dai diversi compromessi incrociati non incoraggia a sufficienza l’efficientamento della macchina burocratica delle regioni. Resta solo il bistrattato stato centrale, ma a questo ci ha pensato il guardiano dei conti Giancarlo Giorgetti. Nel testo il ministro non a caso ha fatto inserire a suo tempo la prescrizione che lo stanziamento di nuove risorse finanziarie determinato dai nuovi Lep dovrà avvenire “in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio”. Tradotto, non vedrete un euro.

Follow the money: ci sono tutti i presupposti per pensare che i Lep continueranno a rimanere lettera morta, e con loro la devolution regionale.

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