a milano
Ecco perché, dopo 50 anni, la Consob ha bisogno di una riforma
Il mondo è cambiato rispetto al 1974. La sfida del cambiamento spiegata da Savona, Cardia e Nava all'incontro annuale con il mercato finanziario
La Consob ha bisogno di un rinnovamento, magari anche di una riforma, per adeguarsi ai tempi che cambiano, al contesto europeo e alla rivoluzione digitale. A dirlo è il presidente dell’Autorità di vigilanza, Paolo Savona, nell’incontro annuale con il mercato finanziario che si è svolto a Milano con la partecipazione di due ex presidenti, Lamberto Cardia e Mario Nava, i quali, con toni diversi, gli hanno dato manforte nell’auspicio di un cambiamento, mentre ha declinato l’invito a intervenire Giuseppe Vegas, che, comunque, era presente tra il pubblico.
Qualche vecchia ruggine forse ancora pesa (la sostituzione traumatica di Nava con Savona da parte del governo Conte), ma nel complesso il clima che si respirava era di una riflessione comune sulla necessità di un cambio di passo. Ne va della stessa ragion d’essere della Consob a cinquant’anni dalla sua nascita, nel 1974, sotto il governo Rumor. Superato l’antieuropeismo della prima ora, Savona ha parlato dell’unione dei mercati “come pilastro della costruzione europea” ed è apparso determinato ad andare fino in fondo nel confronto con i sindacati per varare la riorganizzazione che dovrebbe rivoltare la Consob come un calzino dandole maggiore velocità di azione.
Per Savona, bisogna passare “a scelte basate sulle moderne tecniche di intelligenza artificiale e sugli strumenti di raccolta e di elaborazione delle informazioni per favorire una maggiore remunerazione netta del risparmio, incentivandone l’incalanamento verso le iniziative produttive”. Secondo il presidente della Consob, le nuove tecnologie possono essere un buon alleato per contrastare il fenomeno del delisting che non si arresta: nel 2023 su Euronext Milan (il listino delle big) ci sono state nove quotazioni e sei revoche, sull’Euronext growth Milan (fino a 50 milioni di fatturato) per 34 società ammesse ci sono stati 21 addii.
Ma il vero cavallo di battaglia di Savona è estendere la vigilanza al “far west”, come lo definisce, delle cryptovalute perché “non si può comprendere come si possa legittimare l’esistenza di attività dematerializzate, prodotte artigianalmente che vivono di accordi tra privati senza controlli sulla governance”. Proprio lunedì il Consiglio dei ministri ha approvato una stretta sulle cryptoattività con sanzioni fino a 5 milioni di euro e addirittura il carcere per gli operatori abusivi. Un primo passo verso una regolamentazione, ma anche un tema delicato vista la diffusione delle monete digitali tra i giovani (sono 3,6 milioni le persone che posseggono cryptovalute o token tra generazione Zeta e Millennial, secondo il Politecnico di Milano).
Insomma, la sfida del cambiamento è a tutto campo perché, rispetto al 1974, c’è l’Europa e c’è l’euro, non c’è più un unico mercato degli scambi ma diversi circuiti che si muovono in modo parallelo e spesso fuori da ogni controllo, concorrenza tra norme nazionali, l’avvento del fintech. Come ha ricordato Cardia, c’è bisogno di un processo di adeguamento altrettanto rapido, pena la marginalizzazione e lo scivolamento verso l’irrilevanza”. Per Cardia, che è stato presidente Consob dal 2003 al 2010, i processi di innovazione sono spesso spinti dalle crisi. “La Consob stessa è figlia di una crisi, quella che nei primi anni Settanta scosse la piazza finanziaria italiana per effetto di vari fattori: il crac Sindona innanzitutto, ma anche le turbolenze dovute alla fine degli accordi di Bretton Woods e allo choc petrolifero”. L’idea di dar vita a un’autorità di vigilanza a cui fossero trasferite le funzioni fino ad allora in capo al Tesoro era nell’aria da tempo, ma fu la pressione di una crisi a sollecitare governo e Parlamento verso la costituzione di un’autorità. Così come il crac Parmalat portò come risultato finale un rafforzamento dei poteri di vigilanza. E anche le scalate bancarie ad Antonveneta e a Bnl, la scalata a Rcs e la vicenda Fiat-Ifil-Exor hanno finito per intensificare i controlli sul market abuse. C’è, però, un ostacolo rappresentato dalla burocrazia interna e da una sovrapposizione di ruoli e di funzioni che Mario Nava propone di superare riducendo da cinque a due il numero dei commissari. Anche questa sarebbe una rivoluzione.