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un caso emblematico

La guerra tra Apple e Ue è la spia di un grosso guaio europeo

Alberto Carnevale Maffè

Mentre Usa e Cina investono grandi capitali sullo sviluppo dell’AI, l’Unione Europea ha passato gli ultimi anni a produrre una pesante architettura normativa, la cui eccessiva complessità sta generando preoccupazione tra le imprese

La mela della tecnologia resta proibita: ci rimane il cetriolo dell’iperlegislazione. Chi vorrebbe più Italia in Europa, stavolta può essere paradossalmente soddisfatto: Bruxelles, infatti, assomiglia sempre più a Roma nell’ostacolare l’innovazione con la burocrazia cervellotica e l’incertezza del diritto. Come reazione a un contesto regolatorio europeo sempre più complesso e indecifrabile (ieri la Commissione ha informato Apple della sua opinione preliminare secondo cui le regole dell’App Store violano il Digital Markets Act), è appena arrivata la rinuncia di Apple a introdurre in Europa la propria tecnologia di intelligenza artificiale personalizzata, che segue un’analoga retromarcia forzata da parte di Meta sul progetto di addestramento dei suoi LLM (modelli linguistici di grandi dimensioni) tramite l'utilizzo di contenuti pubblici condivisi su Facebook ed Instagram.

Mentre Usa e Cina investono grandi capitali sullo sviluppo dell’AI, l’Unione Europea ha passato gli ultimi anni a produrre una sesquipedale architettura normativa, che punta a creare un ambiente digitale più equo e sicuro ma la cui eccessiva complessità sta generando preoccupazione tra le imprese, rischiando di soffocare l’innovazione e la competitività. Il caso di Apple è emblematico. La multinazionale di Cupertino ha annunciato il rinvio del lancio in Europa delle sue nuove funzionalità di AI personalizzata, citando le “incertezze normative” legate al DMA.

Le funzionalità rinviate includono “Apple Intelligence”, un sistema avanzato che integra Siri con strumenti di correzione testuale e generazione di immagini, e “SharePlay Screen Sharing”, che consente la condivisione dello schermo. Secondo Apple, i requisiti di interoperabilità imposti dal DMA, che obbligano i software a funzionare su diversi sistemi operativi e hardware, mettono a rischio la privacy e la sicurezza dei dati degli utenti. Questo caso solleva un paradosso significativo: una grande azienda tecnologica privata come Apple dichiara di volersi preoccuparsi dell’effettiva privacy degli utenti più di quanto non faccia il costrutto teorico della Commissione Europea. Apple ha dichiarato che la forzata interoperabilità potrebbe compromettere l’integrità dei suoi prodotti, esponendo i dati degli utenti a maggiori rischi di sicurezza. A meno di riuscire a dimostrare un eventuale abuso di posizione dominante, non si vede perché debba essere il regolatore a imporre a un operatore privato ogni singolo dettaglio della soluzione tecnologica da adottare.

Le regolamentazioni europee, invece di fornire un quadro chiaro e stabile, finiscono per alimentare dubbi e timori, rallentando l’innovazione. Il DMA, ad esempio, introduce requisiti di interoperabilità che, pur essendo pensati per favorire la concorrenza, rischiano di minare la sicurezza dei dati. E la complessità delle norme rischia di scoraggiare l’adozione di tecnologie innovative. Le imprese devono navigare tra requisiti di conformità complessi e costosi, che possono rallentare significativamente lo sviluppo e l’implementazione di nuove soluzioni AI. Il caso di Apple evidenzia come le normative possano avere effetti controproducenti, ostacolando l’innovazione e, paradossalmente, mettendo a rischio la privacy degli utenti. E' essenziale che l’Ue si impegni a rendere leggibile, prevedibile ed inequivoco il proprio approccio normativo, bilanciando la necessità di regolamentazione con la flessibilità necessaria per sostenere l’innovazione e la competitività. Più California in Europa, più Europa in California.

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