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il rapporto

Solide e ricche. Le lezioni anti lagna delle imprese italiane

Stefano Cingolani

L'ultima indagine pubblicata da Mediobanca e Unioncamere analizza l'operato delle imprese nel "Quarto capitalismo". Ne emerge una grande solidità, ma resta comunque imprescindibile il tema della ricerca

Sorpresa: l’inflazione post pandemia, nel biennio 2021-2023, è calata con la sua falce sulle imprese italiane, ma non ha tagliato né il loro fatturato reale cresciuto in media di quasi il 3% (del 17% quello nominale) né i loro risultati economici. Seconda sorpresa: l’aumento dei tassi d’interesse non ha rovinato i bilanci né aumentato i debiti delle aziende. Terza sorpresa: il decennio che comincia nel 2013 con la “recessione Monti” provocata dalla stretta per risanare i conti pubblici e restare nell’euro, non ha messo a terra il tessuto produttivo (un refrain dei populisti di destra e di sinistra) che, al contrario, s’è rinnovato. Il saldo tra aziende nate e morte è positivo, alla fine di un turnover molto ampio, addirittura del 188%. E qui viene la quarta sorpresa: l’aumento della produttività misurata come valore aggiunto per dipendente; ebbene nel decennio preso in esame è cresciuta in media del 2,9%, oggi è quasi del 30% superiore a quella del 2013.

  

Quanta propaganda vuota e pericolosa, una bolla di balle che ha creato un senso comune sulfureo. Le sorprese vengono dalla lettura dell’ultima indagine Mediobanca e Unioncamere sulle medie imprese industriali italiane. È la ventritreesima edizione, abbastanza per dare profondità di medio periodo anche perché il campione resta omogeneo e copre un universo di 1.748 aziende comprese tra i 50 e i 500 occupati e un volumne di vendite tra in 17 e i 370 milioni di euro, tutte di proprietà familiare e manifattiriere. Rappresentano quello che è conosciuto ormai come Quarto capitalismo, radicato nei distretti (circa il 40% del campione). Il primo, il più polposo è nelle valli bresciane, specializzato in produzioni metallurgiche e meccaniche, il secondo nell’area di Lecco (metalli), seguono poi il veneto-friulano, l’emiliano tra Reggio e Guastalla, quello piemontese di Carmagnola e al sesto posto il distretto campano che fattura oltre due milairdi ed esporta circa la metà della produzione. 

  

La forza dell’export non è nuova, tuttavia colpisce leggere che il 94,9% del campione ha venduto fuori dai confini nazionali il 45% del proprio fatturato. Non è nuovo nemmeno che il 59% delle aziende è abbarbicato ai settori tradizionali: la meccanica è al primo posto con il 41,9% del valore aggiunto, poi l’alimentare e il chimico farmaceutico. Tre comparti in crescita mentre scendono il tessile, l’abbigliamento, i beni per la persona e per la casa. Dunque, c’è stato uno spostamento in alto nella scala produttiva, ma resta un divario molto forte nell’alta tecnologia e nel digitale al quale si sta cercando di rimediare: l’82,6% ha investito o investirà dal 2021 al 2026 in tecnologie 4.0 e il 37,9% adotterà l’Intelligenza artificiale nei prossimi tre anni, soprattutto per migliorare l'efficienza interna; mentre il 69,6% ha investito o investirà in tecnologie green. Un’azienda su due chiede alla Ue una chiara politica energetica. 

  
Le imprese censite hanno un patrimonio solido. La consistenza di mezzi propri è più che sufficiente a coprire l’attivo immobilizzato; il rapporto con i debiti a breve termine è addirittura del 230%, quindi il rimborso dei prestiti è più che garantito. “Questa forza patrimoniale – scrive il rapporto – ha consentito alle medie imprese di fronteggiare i primi effetti della crescita dei tassi d’interesse”. Il costo medio dell’indebitamento è rimasto pari a quello del 2017, attorno al 2,7%. Molti attacchi alla Bce sembrano dunque fuori misura (non tutti, ma senza dubbio certe sfuriate isteriche del circo politico-mediatico). Mediobanca sottolinea che nei conti delle imprese l’inflazione e il successivo rincaro del costo del denaro non hanno avuto effetti negativi sui margini. È un panorama che non mostra resilienza come si usa ripetere, ma vera e propria solidità. E nello stesso tempo rivela i punti critici. Il peso del fisco rimane penalizzante con un tasso del 23,6% anche se si è ridotto in modo consistente nell’ultimo decennio: era arrivato al 38% nel 2013. L’altro limite resta il livello tecnologico. “L’incertezza del momento – sottolinea  Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca  – impone obiettivi chiari e selettivi. Ciò richiede capitale umano di qualità, arduo da reperire e trattenere. L’IA interviene come possibile fattore mitigante e si sta facendo strada nelle agende degli imprenditori, a sua volta però richiede competenze specialistiche”. È il balzo che le medie imprese sono chiamate a fare, ma occorre il ruolo trainante della ricerca e delle grandi che, invece, si sono mosse come pachidermi tra le cristallerie.

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