L'analisi
Perché Savona ha fatto impazzire le cheerleader del sovranismo italiano
Il presidente di Consob ha proposto un'innovativa convergenza sotto un'unica autorità europea per controllare conti correnti e strumenti finanziari, sorprendendo molti osservatori. Ma la riforma migliorerebbe l'efficienza e la trasparenza finanziaria
Contro la pigra tentazione della finanza-materasso, sulla quale da troppo tempo si è adagiato il risparmio degli italiani, e a favore di un nuovo assetto unificato della vigilanza su conti correnti e strumenti finanziari, per migliorare efficienza, supervisione e allocazione del mercato dei capitali, si è alzata la voce, come sempre un po’ fuori dal coro, di Paolo Savona. La visionaria relazione del presidente di Consob in occasione dei 50 anni dell’autorità non solo ha spiazzato gli ex follower sovranisti ma ha anche sorpreso molti osservatori. La proposta di far convergere sotto un’unica autorità europea il controllo sia sugli strumenti finanziari sia sui conti correnti prende atto che la trasformazione dei titoli mobiliari in “token” digitali, avviata con la rivoluzione delle criptomonete, è un processo di mercato inarrestabile e converge con l’introduzione dell’euro digitale.
Ciò avrebbe due vantaggi: dal punto di vista macroeconomico, si ristabilirebbe l’equilibrio tra la stabilità finanziaria quella monetaria, oggi alterato – specie in Italia – dal preponderante ruolo delle banche rispetto agli altri intermediari, borse valori in primis. Inoltre, i tassi d’interesse ufficiali riacquisterebbero la funzione di riequilibratori tra andamenti dei profitti degli investimenti reali e della domanda aggregata. In prospettiva microeconomica, gli effetti sarebbero molteplici. Il primo sarebbe ridurre i costi di conformità che gravano sugli intermediari. Le tecnologie DLT (distributed ledger technologies) laddove ben regolamentate, possono infatti offrire maggiore trasparenza e sicurezza nelle transazioni finanziarie: saranno le “RegTech”, ovvero le tecnologie per la regolamentazione, a ridurre il fardello che l’ipertrofia normativa ha imposto sugli intermediari. Secondo la European Banking Authority, i costi diretti di conformità sono arrivati al 10% delle spese operative totali delle banche; Deloitte stima che questa “tassa impropria” sia tra i 70 e i 100 miliardi di euro: un macigno che grava sui conti degli intermediari e che ricade sui risparmiatori. Un altro effetto sarebbe favorire l’uso dell’AI, sia contro le frodi, sia per una più efficiente allocazione dei risparmi. L’intelligenza artificiale non sarà la panacea, e certo non sembra poter sostituire il ruolo della consulenza, ma è meglio dell’analfabetismo finanziario. Solo il 17% degli adulti italiani raggiunge un livello minimo di competenza finanziaria: non solo è uno dei valori più bassi dell’OCSE, superiore solo a Yemen, Paraguay e Cambogia, ma è anche abissalmente inferiore ai principali paesi europei: la Germania è al 75%, Francia e Spagna al 39% (OECD/INFE 2023).
L’altro vantaggio sarebbe quello di rafforzare l’afflusso di risparmi ai mercati finanziari che supportano l’economia reale. Davanti una Borsa che pesa solo il 39% del PIL, contro il 100% della Francia e il 200% degli USA, è fondamentale indirizzare il risparmio verso impieghi produttivi. I limiti dimensionali delle imprese sono un ostacolo allo sviluppo, come hanno ricordato nello stesso giorno, all’assemblea di Centromarca, Francesco Mutti e Corrado Passera, sollecitando il governo (ma anche i propri colleghi imprenditori) a favorire l’aggregazione delle aziende e l’accesso a capitali di lungo termine, come fattore fondamentale per la produttività e la competitività. L’Italia potrebbe fare da laboratorio della proposta avanzata da Savona, sperimentando la convergenza tra autorità tramite “sandbox” come quelle predisposte per l’euro digitale, il cui dossier in BCE è nel passato da Fabio Panetta a Piero Cipollone.
Se il “WIT” draghiano bastò a fronteggiare le minacce alla stabilità dell’euro, la proposta di Savona oggi mette l’accento sul progetto necessario al mutato contesto macroeconomico e tecnologico. All’inizio della nuova legislatura europea, la domanda da farsi per costruire l’indispensabile unione del mercato dei capitali è “What does it take?”. E stavolta non basteranno le dichiarazioni: serviranno nuove istituzioni.