L'analisi

Così la Corte costituzionale boccia la tassa sugli extraprofitti

Carlo Stagnaro

L'alta corte boccia in teoria l’imposta sugli extraprofitti energetici, la salva in pratica e ne censura solo l’aspetto più grottesco, cioè l’inclusione delle accise nella base imponibile. Tutte le altre eccezioni sollevate dai ricorrenti sono state respinte. Ecco cos'è successo

Una carezza in un pugno: la Corte costituzionale boccia in teoria l’imposta sugli extraprofitti energetici, la salva in pratica e ne censura solo l’aspetto più grottesco, cioè l’inclusione delle accise nella base imponibile. Tutte le altre eccezioni sollevate dai ricorrenti sono state respinte.
 

L’imposta, risalente al marzo 2022, applica alle società energetica un’aliquota straordinaria del 25 per cento sulla differenza tra i saldi Iva nel periodo 1 ottobre 2021-30 aprile 2022 e quelli nello stesso periodo 12 mesi prima. Le aziende colpite hanno da subito lamentato che la norma individuava una base imponibile del tutto arbitraria. Infatti, i saldi Iva non sono un indice dei profitti, ma dei ricavi, come riconobbe lo stesso sottosegretario Roberto Garofoli in un’intervista a Repubblica: “In un momento di eccezionalità si chiede un contributo a quegli operatori che hanno registrato ricavi eccezionali per cause congiunturali”. In realtà, l’aumento dei ricavi era dovuto a una pluralità di cause, tra cui l’aumento dei volumi venduti. Nel periodo preso a riferimento (ottobre 2020-aprile 2021) l’Italia era ancora sotto lockdown. Per cui i consumi energetici (specialmente petroliferi) erano bassissimi. Quello successivo (un anno dopo) era invece segnato non solo dal rally dei prezzi energetici, ma anche da una vigorosa crescita economica. La scelta di non provare neppure a distinguere questi due fattori rende la norma estremamente iniqua.
 

Di tutto ciò la Corte è perfettamente consapevole e vi dedica parole pesanti: “Sarebbe certamente fisiologico fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società, dal momento che la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti”. Inoltre, “anche quando la percentuale del margine commerciale non fosse aumentata… ma addirittura fosse diminuita, l’aumento delle quantità vendute avrebbe potuto generare… un saldo incrementale tale da determinare una significativa applicazione del tributo”. Ne segue che tale struttura d’imposta “in un tempo ordinario, non consentirebbe… di superare il test della connessione razionale e della proporzionalità”. Purtroppo, prosegue la Corte, viviamo in tempi eccezionali e  non  si può andare tanto per il sottile.
 

La Corte fa anche affermazioni, dal punto di vista economico, del tutto sorprendenti: prima nega che vi sia una connessione tra il tributo e gli extraprofitti (a cui si fanno solo “sporadici accenni nei lavori preparatori”). Ciò le consente di dribblare il motivo per cui i saldi Iva avrebbero potuto fornire un’indicazione dei presunti “windfall profit”. Poi giustifica l’eccezionalità del settore energetico col fatto che i rincari in tale comparto sono stati “i più alti in termini assoluti”: il che, ancora una volta, nulla dice sulla straordinarietà o meno degli utili degli operatori energetici. Infine si spinge a qualificare come “del tutto anelastica” la domanda di energia, come se questa non fosse crollata proprio nel 2022 anche per effetto dei prezzi (tema ampiamente trattato in un paper della Banca d’Italia, che forse i giudici costituzionali avrebbero dovuto sfogliare).
 

La Corte si ferma solo di fronte al necessario rispetto “di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione… risolvendosi invece nella prospettiva di una mera soggezione al potere statale”. Ciò accade con l’inclusione delle accise nella base imponibile, nonostante siano riscosse dai petrolieri a nome dello stato. Pertanto questa disposizione, e solo questa, viene giudicata incostituzionale. Si può stimare che la somma contesa valga all’incirca un decimo del gettito complessivo (meno di 5 miliardi, contro gli oltre 11 previsti). La Corte assolve, nel nome della fretta, gli errori del governo: non conta, agli occhi dei giudici costituzionali, né che nessun altro paese tra i tanti che hanno adottato forme di imposizione straordinaria abbia seguito una strada tanto barocca e iniqua, né che l’Italia abbia in seguito aggiunto un’ulteriore addizionale Ires. D’altronde, non è la prima volta che la Suprema Corte sacrifica i princìpi alla ragion di stato in materia tributaria (come accadde con la Robin Tax, giudicata incostituzionale eppure non restituita a chi l’aveva versata).
 

La Corte scrive parole splendide: “La straordinarietà del momento e la temporaneità della imposizione non possono essere ritenute un passe-partout per l’introduzione di qualsiasi forma di imposizione fiscale”. Con la sentenza, tuttavia, condona esattamente ciò che condanna.

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