Gli errori del Rdc targato M5s e la lezione per il salario minimo

Marco Leonardi

Il rapporto del ministero del Lavoro analizza la misura grillina, a sei anni dall’introduzione. C'è una riduzione della povertà ma fallisce l’incentivo al lavoro. Le nuove misure del governo Meloni sotto la lente

Il ministero del Lavoro ha  pubblicato un rapporto sulreddito di cittadinanza (Rdc) a sei anni dalla sua introduzione e a uno dalla sua fine. Presto saranno pubblicati (e sono stati anticipati dal Foglio qualche settimana fa) i primi risultati delle due nuove misure con cui il governo Meloni ha sostituito il Rdc: l’Assegno di inclusione (Adi) per le famiglie con carichi familiari e il Sostegno formazione lavoro per gli “occupabili” (Sfl). E’ il momento giusto per  un bilancio del RdC, che è molto più di una politica pubblica perché rappresenta anche una bandiera politica e un modo di intendere il welfare state in Italia.
  
Il rapporto sul Rdc è un documento accurato e si conclude con il suggerimento di aumentare il take up delle misure anti povertà: mirare meglio per raggiungere un maggior numero di poveri. La critica che la misura non ha intercettato i poveri non è interamente condivisibile. La povertà (cosiddetta assoluta) è misurata dall’Istat sui consumi mentre il Rdc, come tutte le misure universali e selettive in tutta Europa, è basato sull’Isee. E’ vero che il Rdc beneficiava molti che non erano poveri  (e di contro non raggiungeva molti poveri), ma questo è inevitabile appunto perché usava  criteri di reddito e patrimonio invece che di consumo. Comunque il Rdc ha molto ridotto l’incidenza della povertà. La parte di incentivo al lavoro non ha funzionato ed è la ragione per cui un’idea giusta  si è rivelata  un fallimento gestionale.
  
Il merito del M5s fu di aver messo il Rdc al centro della campagna elettorale del 2018, facendo entrare il tema della lotta alla povertà nella discussione politica: l’Italia era l’unico paese europeo privo di una misura universale fino al 2017, quando il governo Gentiloni introdusse il Reddito d’inclusione (Rei), Il fallimento gestionale del RdC si palesò quando il M5s lo intese come la “fine della povertà”, e dal punto di vista pratico strutturò la misura come erogazione del reddito sulla base di requisiti formali, senza aver prima fatto i controlli e senza limiti di durata. I problemi di gestione furono già identificati durante il governo Conte I, ma rimasero sottotraccia durante la pandemia perché faceva premio la necessità di coprire rapidamente una larga fetta di popolazione tanto che il Rdc fu temporaneamente “raddoppiato” con il Reddito di emergenza.  
La filosofia di fondo del Rdc a 5 stelle è che non serve incentivare l’offerta di lavoro da parte delle persone, perché il problema è caso mai che manca del tutto la domanda da parte delle imprese: tanto vale distribuire il Rdc senza neanche pretendere l’attivazione delle persone.

  
Il governo Meloni fa l’errore ideologico opposto: rompe l’universalità della misura di welfare e distingue i “veri” poveri meritevoli di aiuto (gli inoccupabili definiti come le famiglie con carichi familiari) da quelli non meritevoli  (gli occupabili definiti esclusivamente sulla base della composizione familiare). La riforma del 2023 distingue gli inoccupabili che sostanzialmente hanno diritto al vecchio Rdc con un altro nome (Adi) e gli occupabili che invece non hanno più diritto a niente, se non €350 euro mensili per un anno condizionati alla formazione (Sfl). Solo 30 mila persone hanno fatto richiesta di Sfl: un fallimento totale, a meno che davvero non si creda che le persone che hanno bisogno di aiuto a trovare un lavoro in Italia siano solo 30 mila su 2 milioni di disoccupati e altrettanti lavoratori in nero. Il governo sostiene che dei 134 mila che non hanno presentato domanda ben 55 mila hanno trovato lavoro. Ma questi numeri non provano nulla, perché quelli che lavorano esistevano anche con il Rdc: sono persone che lavorano per poche centinaia di euro al mese e a cui Rdc dava un’integrazione al reddito, mentre ora non prendono niente.

  
L’integrazione al reddito è la direzione giusta in un paese dove non c’è il salario minimo  legalee il lavoro povero e illegale imperversa: serve un incentivo a che i lavoratori dichiarino redditi legali, prendendo un’integrazione per vivere dignitosamente. Ma il vanto del governo Meloni – aver cancellato Rdc senza troppe proteste – è possibile solo per l’evidente fallimento della gestione  del Rdc. A un esame di maturità, il M5s prenderebbe un voto alto per la radicalità delle idee e il coraggio della proposta, ma un voto zero per l’attuazione. Evitiamo che lo stesso si ripeta su un’altra proposta giusta su cui siamo in ritardo rispetto a tutta Europa, il salario minimo.

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