Foto LaPresse - Pietro Labriola 

Agenda per le telecomunicazioni

Che futuro ha Tim senza rete? Il nuovo business è qui: i nuovi confini delle tecnologie

Carlo Alberto Carnevale Maffè

Fare di necessità debitoria, virtù industriale. Adesso le vere prospettive di crescita e la maggiore quota di valore aggiunto risiedono nei servizi offerti ai clienti finali, specie nel segmento business, e nelle risorse di calcolo e nei data center ad alte prestazioni

Era una rete o una tonnara? L’infrastruttura di fibra ottica ceduta da Tim a FiberCop è davvero un asset strategico come sostiene il governo (che ha voluto sbandierare come un successo la semi-ri-nazionalizzazione, pur con i soldi di KKR), oppure è destinata a diventare una componente marginale, per quanto necessaria, della catena del valore dei servizi digitali del futuro?

Tim si è liberata dell’ormai insostenibile onere finanziario e organizzativo della gestione di un’infrastruttura ad alta intensità di capitale e con una marginalità prospettica soggetta a forti vincoli regolatori, in un paese che ha uno dei più bassi livelli di domanda di connettività su rete fissa nonché la più forte competizione sui prezzi per l’accesso broadband via rete mobile. E ora deve fare di necessità debitoria, virtù industriale. Perché le vere prospettive di crescita e la maggiore quota valore aggiunto risiedono a valle, nei servizi offerti ai clienti finali, specie nel segmento business, e a monte, nelle risorse di calcolo e nei data center ad alte prestazioni.

La gestione di una rete di trasmissione in regime di semi-monopolio garantisce infatti, per un’azienda che disponga di capitali pazienti e di favore regolatorio (e questa non era più certo Tim), una rendita stabile e di lungo termine, ma non è il segmento più attrattivo e a maggiore valore aggiunto nella nuova catena del valore delle telecomunicazioni. Uno dei maggiori operatori telco in USA, Verizon, ha un rapporto CAPEX/ricavi del 17%; NVIDIA, che produce sistemi di calcolo avanzati, si ferma al 1,7%, dieci volte di meno: e vale quasi 20 volte di più della prima. Con l’evoluzione dei servizi digitali e l’avvento dell’intelligenza artificiale, l’importanza delle infrastrutture di calcolo e della rete di edge computing è cresciuta esponenzialmente. Queste infrastrutture sono essenziali per garantire la capacità di calcolo e la bassa latenza necessaria per le applicazioni critiche e per supportare servizi avanzati come l’analisi dei dati in tempo reale e l’automazione intelligente. TIM ha saggiamente mantenuto le infrastrutture cloud e la rete cellulare wireless, che costituiscono tessere fondamentali del mosaico tecnologico del settore. L’Italia è, insieme e perfino peggio dell’Europa, in grave ritardo nello sviluppo di risorse di calcolo adeguate ai futuri fabbisogni di elaborazione dati: da noi non si arriva a duecento data center rilevanti, meno del Messico, contro i 5.500 attivi in USA. Anche dal punto di vista dei costi dell’elettricità (tra i più alti d’Europa) e delle reti di distribuzione (tra le più vecchie del mondo) l’Italia ha da colmare un grande gap, specie a fronte delle prospettive di triplicazione del fabbisogno energetico dei futuri data center nei prossimi 5 anni. Pietro Labriola ha correttamente prospettato la necessità di incorporare in Tim nuove competenze tecnologiche specie sul promettente mercato dei servizi per le imprese, le quali, in Italia come in Brasile, non potranno rimanere ancora indietro nel processo di digitalizzazione, pena la stagnazione della produttività e la progressiva marginalizzazione economica.

La banda della fibra sarà anche larga, ma lo spazio economico della rete fissa sarebbe rimasto troppo stretto per Tim se il costo del capitale investito nell’infrastruttura restava sopra i livelli di rendimento ancora asfittici, se non negativi, in vaste zone del territorio. Il valore dell’infrastruttura di connettività si sposta ai bordi: è sui nuovi confini delle tecnologie digitali e dei processi di business e di servizio che si gioca il futuro di Tim.

Di più su questi argomenti: