Pietro Labriola (Ansa)

Agenda per le telecomunicazioni

Perché il mercato scommette su un patto tra Tim e Open Fiber, da 3 miliardi di euro

Mariarosaria Marchesano

La vendita della rete è servita essenzialmente per abbattere il debito ma per incassare una consistente parte liquida Telecom dovrà attendere che si verifichi un combinato disposto di eventi, che dipendono dalle azioni del governo e da Cdp. E gli investitori sono fiduciosi che questo accada in tempi relativamente brevi

Conclusa la vendita della rete Telecom a Kkr è corsa agli “earn out”. Potrebbe sembrare un aspetto tecnico della trattativa tra l’ex monopolista, il fondo americano e il Mef ma è invece sostanziale. Gli earn out sono una clausola molto in voga nel mondo degli affari e consistono nella parte variabile del prezzo per l’acquisto di un’azienda riconosciuta al venditore se, però, si verificano certe condizioni oppure si raggiungono determinati obiettivi.

E’ evidente che il futuro della Telecom senza rete, la sua capacità di fare investimenti e di giocare un ruolo da protagonista nel processo di consolidamento del mercato delle telecomunicazioni in Italia dipenderà molto dall’incasso di 2,5 miliardi cash legati alla cessione della rete ma subordinato al verificarsi di alcuni eventi. Quali? Uno di questi è l’integrazione tra FiberCo, la società in cui è appena confluita la rete venduta a Kkr, e Open Fiber, l’operatore controllato dalla Cassa Depositi e prestiti e attivo anch’esso nel settore delle infrastrutture tlc. Ma non per forza. Quello che sta emergendo dal closing dell’operazione benedetta dal Mef guidato da Giancarlo Giorgetti, che in FiberCo diventa socio al 16 per cento, è che sarà possibile arrivare al pagamento di questi “earn out” anche nel caso di accordi commerciali tra le due società e se venissero introdotte in Italia modifiche regolamentari che possono portare benefici a favore della società della rete. Un altro pacchetto di 400 milioni sarà poi pagato da Kkr a Telecom – facendo così salire il totale degli earn out a 2,9 miliardi - nel caso in cui fossero approvati dal governo incentivi di settore entro il 31 dicembre 2025. Insomma, la vendita della rete è servita a Telecom essenzialmente per abbattere il debito (a proposito, gli ultimi calcoli degli analisti stimano una riduzione di 13,8 miliardi, che vuol dire che in capo alla società ne restano comunque altri 7-8), ma per incassare una consistente parte liquida dovrà attendere che si verifichi un combinato disposto di eventi (oltre a cedere asset non core come Sparkle e Inwit).

Ma attenzione perché tutto deve accadere entro 30 mesi altrimenti Kkr non sarà tenuta a versare gli earn out. Non è un caso che gli analisti riconoscano che con il closing di lunedì giunge a termine un processo molto complesso che consente al gruppo guidato da Pietro Labriola di riguadagnare flessibilità finanziaria per il rilancio, ma poi pongano l’accento sulle condizioni necessarie affinché nelle casse di Telecom arrivino altre risorse che possano supportarne lo sviluppo nei servizi. Del resto, anche Giorgetti ha parlato dell’operazione NetCo come di “un primo pezzo di puzzle” e di “un passaggio chiave per il riassetto del settore delle tlc in Italia”. Dietro queste parole c’è la consapevolezza che la partita è solo all’inizio. Certamente, il modello stato-privati messo in piedi per la gestione della rete fissa telefonica, unico in Europa, dovrà dare prova di funzionare e di essere stata la migliore scelta del governo Meloni nell’interesse del paese. In questo senso, il tandem di manager italiani costituito da Massimo Sarmi e Luigi Ferraris, nominati rispettivamente presidente e amministratore delegato di Fiber Co, dovrebbe rassicurare (“Siamo pronti a realizzare un nuovo futuro”, hanno detto ieri). Ma ci vorrà del tempo.

Nel breve termine, intanto, ci sono ancora un sacco di soldi che la nuova Telecom potrà portare a casa solo se tutto il sistema paese lavora affinché questo accada. E 30 mesi non sono molti. Un punto interrogativo è stato finora rappresentato dalle condizioni finanziarie in cui versava Open Fiber, che hanno reso poco probabile una fusione con la ormai ex rete Telecom. Ma dopo una lungo e sofferto negoziato con oltre trenta banche creditrici è stato raggiunto un accordo che oltre a riattivare 1,1 miliardi di un vecchio finanziamento, ha garantito nuova finanza alla società controllata da Cdp per altri 2 miliardi. Dunque, le risorse per sedersi al tavolo con FiberCo, che vuol dire un parterre di soci che vanno da Kkr al fondo sovrano di Abu Dhabi, ma in cui l’Italia è presente con il 27 per cento (16 il Mef e circa l’11 per cento il fondo F2i), adesso ci sarebbero. Per fare una fusione o altri tipi di accordi. Vero è che i vertici della società, Paolo Ciocca (presidente) e Giuseppe Gola (amministratore delegato) ricoprono incarichi in scadenza, ma sul loro rinnovo sembra non ci siano dubbi. Così il mercato in questo momento si aspetta un segnale da Cdp visto che oltre a controllare Open Fiber è anche un rilevante socio di Telecom.

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