il gigante alato
Cadere e rialzarsi: Lufthansa c'è riuscita, Alitalia no
Uomini, capitali, strategie: come si diventa la più grande compagnia aerea d’Europa
È la frase forse più citata di Samuel Beckett: “Sempre provato. Sempre fallito. Non importa. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”. Il grande autore irlandese, membro della resistenza francese, premio Nobel nel 1969, non l’ha scritta pensando ai giovani debuttanti della vita. Al contrario. È ripetuta nell’ultima novella, o meglio un componimento di 92 capoversi intitolato “Worstward Ho”, uno dei suoi infiniti giochi di parole tradotto in Italia con “Peggio tutta”. Era il 1984, aveva 78 anni, morirà cinque anni dopo a Parigi, patria adottiva; Beckett non avrebbe mai immaginato che il suo “rantolo estremo” (così lo definì) sarebbe diventato il motto degli start-upper, i giovani inventori di cose nuove che piacciono al mondo. Grandi successi, colossi mondiali, vincitori assoluti nella sanguinosa gara per il primato, sono caduti e si sono rialzati, hanno fallito e riprovato. Sembra quasi incredibile, ma tra questi c’è niente meno che la Lufthansa, la prima compagnia europea, una delle più grandi al mondo, la stessa che da giovedì scorso, 4 luglio, è convolata a nozze con Ita Airways, estrema incarnazione dell’Alitalia la quale senza dubbio è fallita più volte, ma non è riuscita a fallire meglio.
La sacerdotessa della concorrenza (ancora per quanto?) Margrethe Vestager alla fine ha dato la sua benedizione. La cambiale di matrimonio è firmata per il governo italiano da Giancarlo Giorgetti e per il partner tedesco dall’amministratore delegato Carsten Spohr. Testimone dietro le quinte anche Berlino, visto che si tratta di un’intesa economica, ma dal sapore anche politico. Per Ita Airways è ovvio, la proprietà dell’ultima erede dell’Alitalia è nelle casse del Tesoro italiano. La Lufthansa è sì una compagnia privata, ma è pur sempre un’impresa di sistema, anche se il governo, tornato nel capitale durante la pandemia, si è ritirato e oggi l’azionista numero uno si chiama Klaus-Michael Kühne, l’uomo più ricco della Germania, con una fortuna stimata da Forbes in una quarantina di miliardi di dollari.
Perché raccontare la Lufthansa cominciando dalla proprietà? Per due motivi. Primo perché molto spesso quando si tratta delle cose di Germania cala il velo dell’etica protestante secondo la quale si fa e non si dice, tutti parlano di Modell Deutschland e pochi si occupano dei padroni del vapore. La seconda ragione è che le compagnie di bandiera sono finite e il loro posto è ormai occupato da imprese nelle quali il capitale dei privati è determinante, siano essi imprenditori con la voglia di investire e rischiare, siano i fondi d’investimento, sia una buona combinazione tra le due forme del capitale.
Solidità, servizio impeccabile, prezzi, efficienza, ma soprattutto la taglia. La Lufthansa ha capito presto che se voleva essere davvero grande doveva continuare a crescere. Lo ha capito anche la British Airways che si è potenziata con Iberia, lo ha capito l’Air France quando ha preso la Klm, lo ha capito la stessa Alitalia che ha tentato più volte di maritarsi proprio con l’Air France. Nel 2008 sembrava fatta, i francesi erano disposti a versare due miliardi di euro, il governo Prodi era d’accordo poi cadde, tornò Berlusconi, mise in campo i patrioti, ovvero le banche più i capitani coraggiosi, ma il noyau dur si rivelò anche in questo caso un nocciolino molle, come era successo con Telecom Italia. Ci hanno provato gli sceicchi, però l’intesa con Etihad, la compagnia degli Emirati, è fallita. Adesso andrà meglio con Lufthansa? L’accordo sarà chiuso in autunno e verrà nominato un amministratore delegato designato dall’azionista tedesco, poi comincia un lungo cammino. “Nel primo anno ci occuperemo di armonizzare i voli e le tariffe di Ita e Lufthansa, ci concentreremo sulla condivisione dei biglietti, integreremo i dati dei nostri clienti, metteremo a disposizione di Ita gli uffici vendite che abbiamo nel mondo, ottimizzeremo la gestione dei servizi di terra nei vari paesi e le salette vip – ha spiegato Spohr – Nel 2026-2027 toccherà all’ingresso di Ita in Star Alliance e nelle joint venture che abbiamo con i partner”. Il capo di Lufthansa non promette miracoli: “Dobbiamo essere onesti: Ita parte da una situazione di perdite, però non vedo ragioni perché non raggiunga il margine di profitto fissato come gruppo che è dell’8 per cento. Quanto tempo ci vorrà? Dipenderà dallo sviluppo del mercato e dalla velocità dell’integrazione. Ma anche Ita deve essere in linea con i nostri standard”. E lo stato italiano quando uscirà del tutto? Dall’anno prossimo Spohr potrà contare sul 90 per cento, ma vorrebbe che il Tesoro restasse a bordo “ancora per un po’. Perché ho visto quanto sia stato importante il supporto del governo anche a Bruxelles e vorrei questo sostegno pure nei primi due anni del nostro ruolo in Ita”.
La tempesta non è passata, senza dimenticare l’aspra concorrenza delle low cost. Anche la compagnia tedesca ha attraversato anni duri che l’hanno portata sull’orlo del crac come nel 2020 sotto i colpi della pandemia. Il blocco dei voli l’ha messa in ginocchio: era arrivata a bruciare un milione di euro delle sue riserve di cassa ogni ora che uno degli aerei non si alzava da terra. Il governo guidato da Angela Merkel decise di stanziare nove miliardi di euro per tamponare l’emorragia e scongiurare il fallimento. In cambio chiese una quota del 20 per cento e due posti i consiglio di amministrazione, diventando così ampiamente il primo azionista e scavalcando Heinz Hermann Thiele il quale, giunto alle soglie degli 80 anni, era il socio numero uno della Lufthansa con il 15,5 per cento. La compagnia in realtà non era il suo business principale. Nato nel 1941 a Magonza, la famiglia si era trasferita nella Germania orientale dalla quale fuggì mentre arrivava l’Armata rossa. Nel 1969 era entrato come contabile nella Knorr-Bremse che produce sistemi frenanti, cominciando dal basso la sua ascesa fino in vetta. Ma Thiele non si accontenta di fare il manager, scala l’azienda e ne diventa il patron. Sotto la sua guida la Knorr-Bremse cresce come vera e propria multinazionale; a quel punto, passa la gestione ai manager e si dedica a investire la sua fortuna, anche nella compagnia di bandiera nella quale entra nel marzo 2020 comprando a prezzo di saldo. Dopo un duro faccia a faccia con Olaf Scholz, ministro delle Finanze, Thiele ingoia il salvataggio, ma un anno dopo muore. Entra in scena un altro grande imprenditore, anzi più di un imprenditore, un vero e proprio capitalista a tutto tondo: Klaus-Michael Kühne. Figlio d’arte, o meglio nipote d’arte perché è stato il nonno a fondare oltre cento anni fa l’azienda di spedizioni diventata la numero uno prima che Deutsche Post comprasse il colosso americano Dhl. Nato nel 1937, segue il classico cursus honorum finché a 26 anni non entra come socio nell’azienda di famiglia. Trasformata in società per azioni, portata la sede in Svizzera a Schindellegi dove sposta la propria residenza, Klaus-Michael guida il gruppo del quale possiede il 55 per cento. Nel 1998, lasciata la gestione al management, si butta anche nei trasporti marittimi e in quelli aerei. Nel 2022 diventa l’azionista numero uno della Lufthansa con il 15,5 per cento, gli altri soci privati sono fondi d’investimento; il governo tedesco si ferma al 14, ma una volta restituito il prestito mette in vendita le sue quote ed esce alla fine dello scorso anno.
Nel novembre 2021 la Lufthansa finisce di rimborsare l’aiuto di stato che aveva suscitato dure critiche da parte della Unione europea, emettendo bond sul mercato per 1,5 miliardi di euro. Dei nove miliardi stanziati la compagnia ne ha usati solo 3,8. Il ricorso al mercato dei capitali è una delle leve utilizzate per fare cassa e liberarsi al più presto del prestito governativo, che poneva limiti all’aumento degli stipendi dei manager, alla distribuzione dei dividendi e alle acquisizioni, indispensabili per il consolidamento nei cieli. L’ultima di queste operazioni è proprio l’acquisto a tappe di Ita Airways.
L’altra forte perturbazione risale al 2010. Dopo una perdita di 298 milioni di euro nel primo trimestre, arriva un’altra emorragia di 13 milioni l’anno successivo, quello in cui la crisi dei debiti sovrani rischia di far saltare l’euro. La compagnia taglia 3.500 posti di lavoro, circa un quinto dei dipendenti. Nel 2012 annuncia un piano di ristrutturazione chiamato Score. La mossa chiave è passare al proprio vettore low cost Germanwings i voli a medio e breve raggio da Francoforte, Monaco e Düsseldorf. Oggi il gruppo controlla Brussels Airlines, Swiss Airlines, Air Dolomiti, Austrian Airlines, Eurowings che dal 2015 ha assorbito Germanwings, Discover, Lufthansa cargo e CityLine. Ora c’è anche Ita, ma i prossimi obiettivi sono la portoghese Tap e poi la Sas, a lungo corteggiata, ammesso che riesca a convincere i governi dei tre paesi scandinavi (Svezia, Danimarca, Norvegia) ai quali fa capo. Per ora la Lufthansa ne gestisce i servizi da terra. Tra tutte, Swiss è la più profittevole, Austrian Airlines e Brussels Airlines sono indietro. Nessuno sa dove si collocherà Ita nella corona germanica. E il ritorno al profitto è un impegno che non può avere ancora una data precisa. Spohr è realista, non pessimista e tiene a sottolineare che altri vettori del gruppo sono partiti da una situazione simile e sono stati risanati.
Ma come ha fatto Lufthansa a diventare la numero uno in Europa? A concorrere al risultato “l’aumento della domanda di viaggi aerei, la rapida ristrutturazione e trasformazione del gruppo, oltre alla fiducia dei mercati dei capitali nella società”, si legge in un comunicato emesso dall’azienda. Le sue origini risalgono al 1926, quando nasce a Berlino la Deutsche Luft Hansa A.G. La compagnia di bandiera crolla nel 1945 insieme al regime nazista del quale porta drammaticamente i segni. E’ stato dimostrato in seguito a una serie di inchieste che la Dlh faceva affidamento sull’uso del lavoro forzato e ospitava i nuovi schiavi sul sito dell’aeroporto di Tempelhof. Nel tentativo di creare una nuova compagnia nazionale, anche se le potenze alleate che si erano spartite la Germania non avevano ancora concesso la sovranità dello spazio aereo, nel 1953 viene fondata a Colonia la Aktiengesellschaft für Luftverkehrsbedarf (Luftag) che imbarca molti dipendenti già alla Dlh; tra loro anche personaggi come Kurt Knipfer, membro del partito nazista dal 1929 e al vertice della Deutsche Luft Hansa dal 1933 al 1945, e Kurt Weigelt, nazista condannato per crimini di guerra che viene nominato persino nel consiglio di amministrazione della nuova società. Nel 1999, la Lufthansa aderisce all’iniziativa della German Business Foundation che affronta azioni legali collettive contro le società tedesche per misfatti negli anni della Seconda guerra mondiale. Lo stesso anno, incarica lo studioso Lutz Budrass di indagare sull’uso del lavoro forzato da parte della Dlh, ma la compagnia rifiuta per più di un decennio di pubblicare i suoi risultati.
La caduta del Muro è l’occasione che dà una spinta decisiva. Il 28 ottobre 1990, subito dopo la riunificazione, Berlino diventa di nuovo una destinazione della Lufthansa, che acquisisce la leadership sull’intera Europa centro-orientale. Nel 1994 arriva la privatizzazione, con una progressiva uscita dello stato a favore di azionisti singoli e soprattutto investitori istituzionali. I fondi d’investimento e le banche d’affari americane non fanno mancare il loro apporto di capitali. Anche oggi detengono pacchetti significativi, ma accanto ai fondi a stelle e strisce ci sono i francesi di Amundi e i norvegesi della ricchissima Norges Bank. Privatizzare negli anni in cui si afferma l’ultima (in ordine di tempo) globalizzazione, significa anche diventare internazionali. La Lufthansa lo capisce e agisce in fretta: il 18 maggio 1997, insieme a Air Canada, Scandinavian Airlines, Thai Airways International e United Airlines, fonda la Star Alliance, la prima alleanza multilaterale di compagnie aeree al mondo.
La campagna d’Italia si deve soprattutto a Spohr che ha dovuto ingoiare il malumore dei principali azionisti, i quali lo hanno convocato per un incontro a porte chiuse, con l’obiettivo di essere rassicurati. Uomo della compagnia dove è entrato nel 1994, 58 anni e una vera passione per il volo (ha la licenza per pilotare un Airbus), si sono fidati di lui, non di Alitalia, che ha accumulato una fama davvero cattiva, non per la qualità dei suoi piloti, ma per le rigidità sindacali, la conflittualità pressoché permanente, l’ipoteca clientelare della politica e la continua fame di capitali che avevano allarmato Air France, Klm, Etihad, Delta e ogni altro candidato a matrimoni rivelatisi impossibili. Lo stesso Spohr ha per anni negato di essere interessato alle nozze italiche.
Che cosa gli ha fatto cambiare idea? Un ruolo fondamentale spetta al successo di Fiumicino: l’aeroporto è stato ristrutturato, potenziato, rilanciato dopo l’incendio che nel 2015 ha distrutto il Terminal 3; e ormai da sette anni vince il premio come migliore scalo europeo. Spohr ha confermato che è in una posizione ideale per diventare un nuovo hub della compagnia. Poi c’è la scelta del governo Conte II (quello dei Cinque stelle più il Pd) e dell’allora ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: liquidare del tutto l’Alitalia per far nascere una nuova compagnia ripulita da gran parte delle scorie lasciate dalla vecchia, con l’obiettivo di privatizzarla al più presto cercando un compratore. Da quel momento s’affacciano a palazzo Sella e a palazzo Chigi sia l’americana Delta sia Air France-Klm. Ma si presenta anche la Msc di Gianluigi Aponte, insieme alla Lufthansa che inizialmente doveva essere soprattutto partner industriale. Comincia un tira e molla politico che irrita Aponte il quale cambia cavallo, compra i treni di Italo e conquista Genova (ora entra anche nell’aeroporto controllato dai Benetton). La compagnia tedesca a quel punto presenta un’offerta a tutto campo. “Ita non è l’Alitalia”, ha detto Spohr per convincere i suoi azionisti riluttanti, i quali hanno capito che era una promessa più che un’affermazione, ma hanno scelto comunque di rischiare.