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Non solo Pnrr

Bene riforme e politiche di bilancio, ma urge rendere più semplice la vita alle imprese

Nicola Rossi

Le fonti della crescita vanno trovate nelle scelte dei privati, più che nelle iniziative legislative o nelle politiche di bilancio. Semplificare le norme che regolano le attività d'impresa è la strada da seguire

L’esecutivo in carica ha ereditato da quelli che lo hanno preceduto la fase di attuazione – non quelle di disegno e progettazione – di un programma di investimenti pubblici che ha pochi precedenti nella storia del paese tanto per dimensioni quanto per ambizione. Ed è di conseguenza comprensibile che concentri ogni energia sulla concreta realizzazione – a partire dal rispetto del cronoprogramma – di un piano di investimenti che è – non dovremmo mai dimenticarlo – performance based. Ed è comprensibile che l’esecutivo voglia presentarsi all’appuntamento elettorale del 2027 avendo portato a termine con successo un’impresa che solo un anno fa appariva a dir poco temeraria e che oggi – nelle parole di Marie Donnay, a capo della task force europea competente – viene guardata con rispetto e apprezzamento. L’esecutivo in carica non dovrebbe però dimenticare che lo scenario entro il quale muoverà i suoi passi il governo che emergerà dalle elezioni politiche del 2027 sarà, se possibile, ancor più irto di difficoltà dell’attuale.

Non è affatto detto – e vedremo perché – che il programma di riforme e investimenti pubblici previsto dal Pnrr si traduca in tassi di crescita del prodotto potenziale più sostenuti nel medio e lungo periodo. Se così fosse, l’esecutivo in carica dal 2027 dovrebbe fare i conti con una situazione di finanza pubblica ancora fragile in un contesto anemico dal punto di vista della crescita. Con tutte le conseguenze del caso.


Oxford Economics ed Economia Reale hanno recentemente presentato in un convegno promosso da Mario Baldassarri scenari che illustrano quanto detto in precedenza. Se le premesse logiche del Next Generation EU – si badi bene, non la sua attuazione – si rivelassero fallaci, l’Italia tornerebbe a crescere in termini tendenziali un punto in meno dei suoi partner europei e, di conseguenza, si troverebbe a dover adottare politiche di bilancio disciplinate e rigorose al solo scopo di stabilizzare, e non necessariamente ridurre, il rapporto fra debito e pil. Un contesto che può essere contrapposto a quello implicito nel Documento di Economia e Finanza che invece, e non potrebbe essere diversamente, immagina che il Next Generation EU, a valle dell’attuazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, dispieghi in pieno i suoi effetti positivi. Non che anche in questo caso non sia inevitabile una politica di bilancio accorta e prudente ma i diversi ritmi di crescita le conferirebbero un tono certamente diverso.


Ora, che le riforme si traducano in ritmi crescenti della produttività totale dei fattori è un auspicio legittimo ma, allo stato, solo un auspicio. Le stesse valutazioni condotte immediatamente a valle – e, incredibilmente, non a monte – del Next Generation EU sono espressioni dei desideri delle burocrazie europee assai più che solide evidenze. E, anzi, sembrerebbe possibile avanzare l’ipotesi che le riforme possano sì avere effetti significativi sulla produttività ma solo lì dove il terreno culturale su cui poggiano è solido e già predisposto al cambiamento. Non esattamente la situazione italiana. Per altro verso, l’ipotesi che – al di là dell’effetto di domanda destinato a sparire rapidamente – gli investimenti possano a loro volta tradursi in profili più sostenuti della crescita potenziale appare circondata da tali e tanti caveat e sottoposta a tali e tante condizioni da suggerire molta circospezione circa gli andamenti dell’economia italiana post-Pnrr. Tutto questo per avanzare un consiglio non richiesto all’esecutivo in carica (e non solo).

 

Mentre procede meritoriamente l’attuazione del Pnrr, è opportuno fin da oggi non escludere che le fonti della crescita dal 2027 in poi vadano trovate più che nelle iniziative legislative o nelle politiche di bilancio nelle scelte dei privati. Famiglie e imprese. In questo senso, il recente decreto legislativo sui controlli delle attività di impresa – che introduce il principio del controllo collaborativo, prevede l’impossibilità di ispezioni multiple sullo stesso operatore, limita le ispezioni a sorpresa, valorizza il contraddittorio e pone le premesse per ridurre numero e intensità dei controlli sulle imprese virtuose – non diversamente da molte indicazioni contenute nella riforma fiscale in itinere – a partire dal concordato biennale – rappresentano gli esempi da seguire e da moltiplicare in questa seconda metà della legislatura per arrivare a una radicale semplificazione delle norme che regolano l’attività di impresa in tutte le sue fasi: dalla sua costituzione fino alle espressioni più evidenti della sua crescita (ad esempio, la quotazione in Borsa). Chi si propone di governare il paese dopo il 2027 dovrebbe innanzitutto proporsi di evitare che il quinquennio 2027-2032 – tensioni geopolitiche a parte – sia ricordato come il quinquennio della grande disillusione.

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