Foto GettyImages

proposte

Creare valore dagli immobili utilizzati è un'utopia? L'idea di Dal Verme

Giorgio Santilli

Dopo la sbornia del Pnrr non basteranno le risorse pubbliche per sottrarre al degrado il nostro patrimonio storico. Serve riformare le condizioni per una nuova partnership pubblico-privato, dice la direttrice dell'Agenzia del Demanio

Dopo la sbornia del Pnrr, c’è qualcuno che ha il coraggio di tornare a dire pubblicamente che, senza un nuovo rapporto di collaborazione strutturale fra settore pubblico e investitori privati, senza regole certe e un clima di fiducia reciproca, i progetti di rilancio e rigenerazione del paese, e in particolare delle nostre città, non terranno il ritmo necessario per il dopo-2026. O, quanto meno, le sole risorse pubbliche non ci consentiranno di stare al riparo dagli enormi rischi del non fare: non valorizzare, non investire, non rigenerare, che significa condannare il nostro enorme patrimonio storico al degrado, all’abbandono. 

 
A parlarne espressamente – senza sottovalutare i “giganteschi” problemi che devono essere affrontati per rimettere in moto un motore pubblico-privato che in realtà non ha mai funzionato – è stata ieri Alessandra dal Verme, direttrice dell’Agenzia del Demanio, che, forte dei 44mila beni pubblici in suo possesso e del miliardo di euro di nuovi investimenti per il triennio 2024-2026, non si è limitata, nel corso della presentazione del suo Rapporto annuale nelle sale della Camera dei deputati, a spiegare la nuova missione e il “piano strategico industriale” dell’Agenzia, ma ha lanciato un segnale chiaro e concreto alla filiera dell’industria immobiliare con l’elaborazione congiunta di alcune ipotesi di contratti innovativi: pescheranno dalle esperienze antiche delle concessioni di valorizzazioni per riformarle in corsa, ma anche dalle nuove “forme atipiche” (e quindi sperimentali) di project financing o di partenariato pubblico-privato previste dal codice degli appalti.  L’importante – ha detto dal Verme – è “creare, attraverso l’immobile pubblico, un valore economico, sociale, culturale, ambientale sul territorio”.

 

“Creare valore dagli immobili non utilizzati: combattere il costo del degrado e del non fare” è l’approccio giusto, ripetuto, quanto meno per intavolare il discorso e per cominciare a fare esercizi concreti avendo messo a disposizione 20-25 immobili e ricordando il mantra di questa gestione del Demanio: “La riqualificazione degli immobili accompagna la rigenerazione delle aree che li ospitano”. I 27 piani-città, altra trovata recentissima, sono uno strumento di programmazione, ma anche un censimento fatto con le amministrazioni locali e un catalogo da presentare a chi fosse pronto a investire. Pezzi di investimento per far rinascere singoli immobili anche in aree ex degradate che il Demanio sta trasformando, come il Parco della Giustizia di Bari o l’area della Vela a Tor Vergata, 49 ettari su cui necessariamente si procede per gradi.

 
Non è un caso, poi, che sia proprio Alessandra dal Verme a tentare questa impresa di riformare le condizioni per una nuova partnership pubblico-privato: lo fa, appunto, catalogo di progetti alla mano, dopo essersi battuta per anni, alla Ragioneria generale dello Stato, proprio per il tentativo di dare un assetto riformato, stabile, innovativo e condiviso al quadro regolatorio degli investimenti “misti”. È del novembre 2015 una sua proposta di convenzione-tipo che intendeva rilanciare lo strumento. Il viceministro all’Economia Leo, intervenuto ieri al Rapporto, la sostiene in questo tentativo di guardare avanti. Ma ancora di più se la gode dei 100 milioni guadagnati alle casse dello Stato con i risparmi strutturali sugli affitti passivi maturati nel biennio 2022-23 spostando nei palazzi demaniali uffici pubblici prima dislocati altrove. E degli altri 147 milioni che dal Verme ha promesso di risparmiare da quest’anno.

Di più su questi argomenti: