Foto GettyImages

L'analisi

Colpire Arbnb non aiuta a risolvere i guai dell'overtourism. Il caso Firenze

Carlo Amenta e Carlo Stagnaro

Se il fenomeno non può trovare soluzione in una arbitraria limitazione dei diritti dei proprietari, neppure si può negare che l’afflusso continuo di enormi masse di persone abbia degli effetti negativi sulla città e sui residenti. Alcune soluzioni proposte sulla base dei dati

Il Tar della Toscana certifica che non c’è più alcun divieto di affitti brevi per gli immobili nell’area Unesco di Firenze. Esaminando un ricorso del Codacons sulla delibera anti-Airbnb del Comune, i magistrati amministrativi spiegano che “con l’approvazione del piano operativo [da cui la norma contestata era stata stralciata] debbono ritenersi cessati gli effetti pregiudizievoli” del provvedimento impugnato dai consumatori. In tal modo, si chiarisce che la proprietà delle case nel centro storico non è più un diritto dimezzato: esse possono essere utilizzate come meglio aggrada a proprietari, nel rispetto delle norme vigenti. 

Lo stop agli affitti brevi è una risposta sbagliata a un problema reale. E’ la straordinarietà di una città come Firenze ad attirare i visitatori, che desiderano vedere di persona le meraviglie artistiche e architettoniche che hanno studiato sui libri di scuola o ammirato nei documentari in tv. Una simile domanda – a fronte di una data disponibilità di stock edilizio – non può che stimolare l’offerta. Impedire di utilizzare a questo fine le case del centro ha l’unica conseguenza di rendere più costoso e difficoltoso visitare Firenze, con beneficio dell’offerta residua (per esempio gli alberghi) e con scorno dei turisti, specie quelli meno benestanti. 
Eppure, il cosiddetto overtourism è una questione reale. Se esso non può trovare soluzione in una arbitraria limitazione dei diritti dei proprietari, neppure si può negare che l’afflusso continuo di enormi masse di persone abbia degli effetti negativi sulla città e sui residenti. L’eccesso di turismo rispetto alle capacità ricettive di una città determina esternalità negative, non solo sulla manutenzione della città stessa dal punto di vista urbanistico, ma anche per i residenti che devono subire le conseguenze della congestione e dell’inevitabile aumento del costo della vita. Che fare allora? Una comune risposta è la tassa di soggiorno, che è versata da chi si ferma in città allo scopo di riflettere (e garantire copertura a) i costi che con la propria presenza vengono inflitti alla collettività. 

Il balzello ha alcuni elementi positivi e trova fondamento nella letteratura economica sul tema ma deve essere disegnato in modo attento. I problemi principali della tassa ci sembrano legati a due aspetti: il primo è che essa è pagata presso le strutture ricettive che accolgono i turisti almeno per una notte e il secondo è che la destinazione di spesa di queste tasse è lasciata all’interpretazione dei Comuni. Con riferimento al primo aspetto va certamente considerata la necessità di far pagare l’imposta anche ai turisti “mordi e fuggi” che sono quelli con il maggiore impatto negativo in quanto la loro capacità di spesa è spesso molto bassa con scarso impatto sull’economia locale. Il secondo tema va risolto vincolando espressamente gli incassi della tassa di soggiorno alla diminuzione delle tariffe pagate dai cittadini per i servizi pubblici locali. 
Nel 2023 i comuni italiani hanno raccolto circa 702 milioni di euro con città come Roma e Milano che hanno incassato 159 e 29 milioni di euro circa rispettivamente. La destinazione è solitamente a beneficio dei turisti stessi con il finanziamento di iniziative di promozione che finiscono paradossalmente con l’aumentarne il numero, riducendo l’efficacia della tassa e snaturandola. Al fine di ristorare i cittadini dalle esternalità negative dei flussi turistici appare quindi utile vincolare le somme alla riduzione del prezzo dei servizi pubblici locali pagati dai residenti (specialmente quelli che non traggono alcun vantaggio diretto dal turismo, subendone solo gli impatti negativi).

Un ristoro diretto potrebbe contribuire a migliorare la percezione dell’afflusso turistico da parte dei residenti riducendone l’impatto negativo. Ci sembra anche che l’imposta di soggiorno venga troppo spesso fissata avendo in mente il gettito che se ne ottiene più che il fine della sua istituzione, legato almeno in teoria anche a calmierare i flussi e a considerare con attenzione il fenomeno in alta e bassa stagione. Un po’ più di cura e attenzione ai dati e al loro significato non guasterebbe.

Di più su questi argomenti: