le pronunce
Sentenze balneari. Il governo vince due ricorsi in difesa della Bolkestein. Ora non resta che attuarla
Corte di Giustizia Ue e Corte costituzionale fissano i paletti per mettere a gara le concessioni delle spiagge. L'esecutivo ottiene due vittorie, adesso però non ha più scuse: deve fare un passo in avanti
Nell’ultimo mese un paio di sentenze vinte dal governo italiano spingono Giorgia Meloni a fare un passo avanti sulle concessioni balneari rispetto alle sue storiche posizioni a favore della categoria. La più recente è la sentenza dell’11 luglio della Corte di Giustizia Ue secondo cui, al termine della concessione, le opere non amovibili costruite dal concessionario possono essere acquisite dallo stato senza alcun indennizzo. Il caso nasce da una controversia tra un concessionario da un lato e il comune di Rosignano, la regione Toscana e il ministero dell’Economia dall’altro, per quello che i titolari degli stabilimenti definiscono un “esproprio” delle opere murarie a fine contratto.
Secondo i giudici della Corte Ue, l’articolo 49 del Codice della navigazione – che consente questa procedura e che era contestato dai balneari come incompatibile con il diritto comunitario – non produce effetti restrittivi alla “libertà di stabilimento”. La norma, secondo la Corte, si limita a trarre le conseguenze dei principi fondamentali del demanio: “L’appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico”. Pertanto, l’art. 49 del Codice della navigazione prevede semplicemente che al termine della concessione – “salvo che sia diversamente stabilito” – le opere non amovibili sono “incamerate immediatamente e senza compensazione finanziaria nel demanio pubblico marittimo”. Quello che viene definito un “esproprio” è in realtà una semplice condizione del contratto di concessione di cui le imprese erano pienamente consapevoli. Quindi niente “confisca”, “cessione forzosa” o “esproprio”.
L’altra recente sentenza sul tema è quella della Corte costituzionale dello scorso 24 giugno, che rappresenta un singolare testacoda poltico-istituzionale per il governo Meloni, fissando dei paletti sia rispetto al diritto europeo sia rispetto all’autonomia differenziata. La Consulta ha infatti dichiarato incostituzionale la legge della regione Sicilia che riguardava le solite proroghe al 2033 delle concessioni balneari. L’illegittimità costituzionale dell’ennesimo tentativo di aggirare la direttiva Bolkestein non è una particolare novità, nel senso che ormai esiste una giurisprudenza consolidata sia a livello nazionale (dalla Corte costituzionale al Consiglio di stato) sia europea (vedi le sentenze della Corte di Giustizia).
La specificità di questa sentenza, poco evidenziata sui media, è che a sollevare la questione contro la legge pro balneari fatta da una regione di centrodestra, guidata da Renato Schifani, è stata proprio Giorgia Meloni. Nel ricorso, Palazzo Chigi invoca esplicitamente il rispetto della direttiva Bolkestein, proprio quella contro cui la destra meloniana si è scagliata per anni nelle piazze, nei talk show e in Parlamento. Il governo lamentava infatti la violazione dell’art. 12 della direttiva europea che impone agli stati membri dell’Ue di mettere a gara le concessioni demaniali in scadenza, vietando il ricorso alle proroghe automatiche ex lege. Pertanto, secondo il governo e come ha riconosciuto la Consulta, il tentativo della regione Sicilia ha ecceduto nelle competenze assegnatele dall’art. 117 della Costituzione, quello che limita l’autonomia differenziata vincolando il legislatore regionale all’osservanza degli obblighi internazionali assunti dall’Italia.
Con queste due pronunce cambiano alcune cose, che potrebbero imprimere una svolta al settore. La sentenza della Corte di Giustizia sui cosiddetti “espropri” fa saltare il tappo che bloccava l’avvio delle gare da parte dei comuni, con la giustificazione che non c’era chiarezza normativa e quindi sull’eventualità di prevedere indennizzi nel bando: ora ci sono meno scuse per essere inadempienti, anche perché l’Antitrust ha inviato delle diffide. Con la sentenza della Consulta, invece, il governo prende atto che la direttiva Bolkestein va rispettata. Questi due ulteriori punti fermi dovrebbero però spingere Palazzo Chigi a un salto di qualità sul tema.
I tentativi ancora in campo di FdI di un ulteriore ricorso alla Corte costituzionale della Camera contro il Consiglio di stato (dopo aver perso quello fatto da singoli deputati), così come l’ardita tesi di voler dimostrare l’assenza di scarsità di spiagge per poter evitare le gare sono due vicoli ciechi. Ciò che, invece, si dovrebbe fare è tentare di risolvere problema. Il governo dovrà intervenire per prevedere degli indennizzi, se vorrà tutelare i concessionari uscenti, ma che allo stesso tempo non siano eccessivamente penalizzanti per gli entranti, se si vuole evitare una nuova bocciatura per violazione della Bolkestein. Lo spazio per muoversi è stretto, ma l’immobilismo non è più una soluzione.