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Good bye, Reagan!

L'ascesa del "post liberal" J.D. Vance segna il tramonto del Gop liberista

Luciano Capone

Donald Trump ha scelto come vice la personalità più di destra del partito repubblicano, ma anche quella più di sinistra. Conservatore sui temi etici, socialdemocratico sull'economia

Con la nomina di J.D. Vance come candidato vicepresidente Donald Trump ha scelto tra i papabili la personalità più di destra del Gop, ma anche quella più di sinistra sui temi economici. È il trionfo della New right, l’ala populista del partito, quella più conservatrice sulle culture war e più socialdemocratica sui temi economici. 

Giovane, laureato alla prestigiosa Yale Law School, carriera professionale nella Silicon Valley alla corte del venture capitalist Peter Thiel. Il profilo di Vance sembrerebbe quello di un reaganiano, e invece rappresenta il tramonto definitivo dell’identità liberista che ha caratterizzato il Partito repubblicano negli ultimi decenni, già pesantemente incrinata dalla  presidenza Trump.

Diventato famoso prima come scrittore per Hillbilly Elegy (“Elegia americana”- Garzanti), probabilmente il libro più importante per comprendere il successo del fenomeno Trump tra i lavoratori della Rust belt, Vance è agli antipodi del partito di Ronald Reagan su tutte le principali questioni: dal welfare alle tasse, dal ruolo dei sindacati a una politica antitrust più incisiva, dal protezionismo commerciale alla politica industriale. Su tutti questi temi economici, il senatore dell’Ohio è molto più vicino alla sinistra  democratica che alla   tradizione repubblicana.

La scelta di Trump è diametralmente opposta rispetto a quella del suo primo mandato, quando indicò Mike Pence, governatore dell’Indiana pienamente allineato alla tradizione reaganiana secondo cui “lo stato non è la soluzione, ma il problema”. Per Vance lo stato è spesso la soluzione, mentre il mercato è la causa dei problemi economici, sociali e morali dell’America. In questo  è molto più ideologico dello stesso Trump, che non è di sicuro un alfiere del free market, ma è certamente pro business secondo una logica pattizia e pragmatica.

Vance ha invece una visione più integrale e integralista del ruolo dello stato, come regolatore delle politiche migratorie (per limitare la libertà di movimento dei lavoratori), delle politiche commerciali (per limitare la libertà di  scambio dei beni), come motore della politica industriale (per proteggere la manifattura nazionale e indirizzare lo sviluppo), come rete di sicurezza sociale (per proteggere i perdenti e la comunità). 

La politica economica di Vance è insomma molto più simile a quella del New Deal di Franklin Delano Roosevelt, ma con una curvatura conservatrice sui temi etici. Destra sociale, si direbbe da noi. In un’intervista rilasciata a febbraio al New Statesman, storica rivista della sinistra britannica, Vance dice di ispirarsi alla visione politica di sua nonna, la donna che l’ha cresciuto: “Un ibrido tra la socialdemocrazia di sinistra e l’elevazione individuale di destra”.

A fare quell’intervista al vice di Trump era stato Sohrab Ahmari, commentatore conservatore iraniano-americano, convertito al cattolicesimo come J.D. Vance, nonché agguerrito nemico della destra e della sinistra neoliberali. Ahmari è l’autore del libro "Tyranny, Inc - come il potere privato ha schiacciato la libertà americana", una critica allo strapotere delle corporation da contrastare con un interventismo non dissimile da quello proposto da Elizabeth Warren, Bernie Sanders e della sinistra radicale. Non a caso Vance ha indicato come “migliore persona” dell’Amministrazione Biden Lina Khan, la nemica delle Big Tech al vertice dell’Antitrust americana

Proprio dopo la nomina di Vance come vice Trump, Ahmari ha commentato che il terrore della sinistra laburista, ormai disallineata dagli interessi dei lavoratori, è che se i repubblicani  attuassero una politica industriale, chiudessero i confini e stringessero un patto con un pezzo del sindacato “i democratici rimarrebbero semplicemente il partito dei pronomi”.

Questa visione protezionista e comunitaria dell’economia è la classica risposta populista alla crisi, ma nell’universo Maga è anche il frutto dell’elaborazione di un gruppo di intellettuali cattolici  “post liberali” come appunto Ahmari, il politologo Patrick Deneen (autore del saggio "Perché il liberalismo ha fallito"), il giurista di Harvard Adrian Vermeule teorico del “common-good constitutionalism” (che non si rifà al benecomunismo di sinistra ma ai concetti di san Tommaso d’Aquino).

Per la rivista libertaria Reason, “Vance è un nemico del free market”. Ma la sua nomina può rappresentare molto di più: il ripudio del libero mercato, oltre che del liberalismo in generale, da parte del Gop.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali