ridurre il deficit
Blanchard e la spiacevole aritmetica del debito per Francia e Italia
L'economista fa due conti semplici: con gli attuali tassi d'interesse e di crescita, a Parigi serve un avanzo primario dell'1%. Gli stessi calcoli per l'Italia, che ha un costo del debito più alto, significano un avanzo del 4%. Altrimenti il debito non scende
L’ex capo economista del Fmi, Olivier Blanchard, ha recentemente pubblicato su Le Point un articolo che lascia pochi dubbi all’interpretazione: dopo anni di deficit elevati, l’aritmetica impone un aggiustamento fiscale serio ai conti pubblici francesi. Il ragionamento di Blanchard si basa sull’algebra della dinamica del debito pubblico. La sostenibilità del rapporto debito-pil, infatti, è legata al tasso di crescita del numeratore (il debito), che dipende dai tassi d’interesse e dall’ammontare delle nuove emissioni, e al tasso di crescita del denominatore (la crescita dell’economia). E l’algebra per la Francia in questo momento porta a conclusioni poco piacevoli.
Dato che il tasso di crescita nominale del pil è pressoché pari ai tassi d’interesse attuali, il rapporto debito-pil si può stabilizzare solo a condizione di non avere nuove emissioni al netto del rollover, ovvero con un avanzo primario prossimo allo zero. E siccome la Francia ha un disavanzo primario del 3%, l’aggiustamento fiscale minimo richiesto per stabilizzare il debito è, per l’appunto, pari a 3 punti di pil. E se poi la Francia volesse far calare, seppur di poco, il debito-pil nel tempo per costruisce un cuscinetto fiscale di sicurezza allora, suggerisce Blanchard, occorrerebbero almeno 4 punti di pil di consolidamento, ovvero un avanzo primario dell’1%.
È un obiettivo non facile considerando l’attuale situazione politica francese, in cui hanno prevalso forze a sinistra (Nouveau Front populaire) come a destra (Rassemblement National) che hanno promesso una forte espansione fiscale, e raggiungibile solo su un arco temporale piuttosto lungo.
L’economista francese del Mit non è esattamente un falco fiscale, ma un socialdemocratico. Nel 2019, ad esempio, aveva pubblicato un paper che smorzava molto i richiami all’austerità, sostenendo che in una situazione – come quella in cui all’epoca si trovavano gli Stati Uniti – con i tassi di interesse inferiori al tasso di crescita dell’economia, il rinnovo del debito poteva essere gestito senza particolari consolidamenti fiscali. Il punto fondamentale della riflessione, però, era la presenza di bassi tassi di interesse.
Ora, dopo il Covid, lo choc energetico e la fiammata inflattiva, quel mondo non esiste più. E allora Blanchard, uno di quei keynesiani all’antica, che cioè non prescinde dal fare i conti, avverte che con un contesto economico completamente diverso serve un aggiustamento fiscale (“Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. Lei cosa fa?”, diceva John Maynard Keynes).
Ma che succede se applichiamo i conti di Blanchard all’Italia? I risultati restituiscono una situazione ancora più seria e totalmente sottovalutata. La conclusione pertanto è ancora più spiacevole. Dal 2019 a oggi, infatti, il potenziale di crescita italiano è rimasto invariato al di sotto dell’1% (vedasi recenti proiezioni del Fmi). Al tempo stesso però il tasso d’interesse del Btp decennale è passato da circa il 2% a un valore attorno al 4%. Non solo, ma lo stock di debito (al 137% del pil nel 2023) è maggiore rispetto al 2019 e l’Italia è attesa chiudere l’anno con un disavanzo primario di circa mezzo punto di pil.
Detto in altri termini, mentre la crescita (potenziale) è rimasta invariata, oggi abbiamo un ambiente con tassi d’interesse mediamente più elevati, un problema serio per un paese ad alto debito come il nostro. Se in Francia, come dice Blanchard, serve un saldo primario in pareggio (quindi al netto degli interessi) per stabilizzare il debito, in Italia non basta: con una spesa per interessi doppia rispetto alla Francia (4% contro 2%) serve di più.
In questo senso l’obiettivo del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, recentemente annunciato all’assemblea dell’Abi, di “portare il bilancio in pareggio al netto del servizio del debito” è matematicamente inadeguato rispetto all’altro obiettivo, annunciato sempre da Giorgetti nella stessa occasione, di “conseguire una significativa riduzione del rapporto debito/pil”.
Se nel 2019 (vedasi Def di quell’anno) un avanzo primario del 2% era sufficiente a far calare il debito di circa un punto all’anno, oggi è sufficiente solo a stabilizzarlo (sotto assunzioni generose sull’andamento futuro dei tassi) poiché la parte rimanente è, per così dire, mangiata dal maggior costo del debito (vedasi Def 2024). Il “sentiero stretto” di cui parlava l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ovvero il percorso angusto di finanza pubblica per coniugare sostegno alla crescita e sostenibilità del debito, ora è diventato strettissimo per via dell’aumento dei tassi.
Ne consegue che se non volessimo prendere rischi eccessivi, per poi trovarci di fronte al prossimo choc macroeconomico nella stessa situazione del 2011 quando il governo Monti fu costretto a un pesante aggiustamento fiscale in piena crisi, l’ambizione minima per far calare lievemente il debito pubblico dovrebbe essere arrivare in qualche anno a un avanzo primario del 3% (meglio il 4%), ben sopra l’obiettivo del Def per il 2027. Esattamente 2-3 punti sopra l’obiettivo indicato da Blanchard per la Francia, dato che Parigi paga 2 punti di pil in meno per il servizio del debito.
Insomma, che si tratti di Francia o di Italia, l’aritmetica è tanto chiara quanto spiacevole. Suggerisce al ministro dell’Economia che la sua “missione” dovrebbe essere sì il pareggio di bilancio, ma non al netto degli interessi come ha detto Giorgetti, bensì al lordo. Come peraltro indica, in accordo con l’algebra, l’art. 81 della Costituzione.