il colloquio
Il Clean Industrial Deal di von der Leyen non convince l'industria: "Deludente", dice Gozzi (Federacciai)
Più perplessità che ottimismo dopo il discorso programmatico della presidente della Commissione europea. "Non c'è la svolta radicale indicata da Draghi. Ridurre le emissioni del 90 per cento entro il 2040 e salvare l’industria europea non sono obiettivi conciliabili", dice il presidente della federazione delle imprese siderurgiche
Visto dalla prospettiva dell’industria, quella energivora che rappresenta Federacciai, l’esercizio di equilibrismo sulle politiche ambientali fatto da Ursula von der Leyen ha la stessa visione ideologica del passato ed è assolutamente deludente. Un giudizio tranchant che al Foglio esprime il presidente Antonio Gozzi, alla guida di Duferco e della Federazione delle imprese siderurgiche italiane, preoccupato dalla seconda fase del Green deal più di quanto non lo sia degli effetti del voto contrario di Giorgia Meloni. “Perseguire una riduzione delle emissioni del 90 per cento al 2040 e salvare l’industria europea non sono obiettivi conciliabili. In questo programma non c’è politica industriale ma solo l’annuncio di un Clean Industrial Deal di cui aspettiamo di conoscere i contenuti”. Soprattutto, dice Gozzi, manca l’approccio raccomandato da Mario Draghi a La Hulpe pochi mesi fa: “L’ex premier ha indicato con grande onestà e realismo la necessità di una svolta radicale da parte dell’Europa rispetto all’industria, al mercato interno e alle astrattezze ideologiche del Green deal. Le linee programmatiche di Ursula von der Leyen non hanno nulla di tutto ciò: sono assolutamente deludenti”.
Il tentativo di smarcarsi dalla linea più radicale di Frans Timmermans, introducendo da una parte il principio di neutralità tecnologica e dall’altra un patto per l’industria sostenuto da un fondo per la competitività, non convince gli industriali. “Un fondo per la competitività europea è una dizione molto generica, bisogna declinarlo perché ci sono molti temi da affrontare – nota con scetticismo Gozzi – non solo la decarbonizzazione ma anche la digitalizzazione, l’innovazione tecnologica e quello della ricerca e sviluppo”. C’è poi il nodo delle risorse, considerando le reticenze della Germania e dei paesi frugali sul debito comune. Ma il tema dei costi rimane centrale: “Il paradosso è che la nostra industria paga già una tassa ambientale sulla Co2 che evidentemente riduce la redditività e che esiste solo in Europa. In più si pretende anche che si faccia carico degli investimenti di decarbonizzazione: eccola, la filosofia Timmermans”. I partiti della maggioranza italiana hanno proposto un altro modello di transizione energetica. Per l’interesse dell’industria nazionale non sarebbe stato più utile se Meloni avesse votato a favore di von Der Leyen, così da esercitare un peso sulla revisione del Green deal? “Probabilmente dopo aver ascoltato il discorso di ieri Meloni non se l’è sentita di appoggiare politicamente la presidente della Commissione. Ma l’Italia è un grande paese europeo, un paese fondatore, e potrà contare all’interno della Commissione puntando a un commissario di peso”, è il commento di Gozzi. E’ qui che si sposta ora la partita. “Credo che il governo italiano, come più importante espressione dei conservatori e dei popolari, debba cercare di esercitare una forza a partire dalla scelta del commissario e delle sue deleghe”. E soprattutto, evitare di restare isolato. “Per incidere in Europa serve fare alleanze, perché in un sistema che decide a maggioranza qualificata da soli non si fa nulla”. Ed è quello che faranno anche gli industriali, dice Gozzi. “Cercheremo di definire una piattaforma comune per proporre un Industrial deal razionale senza disconoscere il programma di decarbonizzazione e di lotta al cambiamento climatico. La strada è in salita, ma troveremo interlocutori politici capaci di ascoltare le ragioni del buon senso e dei numeri”.