capitali
Vivendi si divide: un pezzo a Londra, uno ad Amsterdam e uno a Parigi (con dentro Tim)
Dall’operazione di scissione dell’impero di Bolloré annunciata ieri a Parigi nasceranno tre diverse società. E la nuova configurazione riguarda anche la partecipazione nell'azienda italiana di telecomunicazioni
Neanche un mese fa c’era chi scommetteva che una possibile convergenza a destra dei governi di Roma e di Parigi avrebbe potuto favorire l’uscita dall’impasse degli investimenti italiani del re dei media Vincent Bolloré. Ma la sconfitta di Marine Le Pen, di cui è Bolloré è grande sponsor, ha fatto evaporare questa prospettiva e così le partecipazioni detenute nella nuova Tim senza rete e nella Mfe della famiglia Berlusconi (l’ex Mediaset) resteranno in capo a una Vivendi ridotta all’osso, dopo l’operazione di scissione dell’impero annunciata ieri a Parigi e dalla quale nasceranno tre diverse società.
Un’operazione di grande impatto e per certi versi sorprendente per il Bolloré di fede “nazionalista”, visto che di queste tre società solo una sarà quotata in patria perché le altre due andranno sulle borse di Londra e di Amsterdam. Ma gli affari sono affari e piuttosto che rinunciare alla possibilità di valorizzare al meglio le sue attività con uno split finanziario che triplica la potenzialità di raccolta di capitali, che vuol dire incassare risorse per futuri investimenti, il finanziere bretone ha scelto di cogliere il momento di transizione politica che sta attraversando la Francia per rilanciare il suo impero. Insomma, Vivendi si fa in tre e spedisce sui mercati esteri i suoi gioielli, ma, tiene a specificare, tutte le società “manterranno il centro decisionale in Francia dove continueranno a pagare le tasse”.
Ecco come sarà suddiviso l’impero: Canal+ sarà quotata a Londra “per riflettere la dimensione internazionale dell’azienda, in particolare nell’ambito della fusione in corso con MultiChoice (società sudafricana specializzata nei diritti tv, ndr)”. La spiegazione è che con quasi due terzi degli abbonati al di fuori dei confini francesi, una rete di distribuzione di film e serie tv in tutti i continenti e prospettive di sviluppo tra Africa, area Asia-Pacifico ed Europa, una quotazione di Canal+ nella City rappresenta una soluzione interessante per gli investitori internazionali. Innegabile, d’altro canto, che per Londra questa sia un’ottima opportunità per recuperare centralità europea dopo la Brexit considerato che da queste parti l’Ipo di un’azienda francese non è affatto usuale.
Poi c’è la seconda società che viene splittata da Vivendi: Havas, il gigante della comunicazione d’impresa con gran parte delle attività svolte a livello internazionale: sarà quotata sulla borsa di Amsterdam, che del network di Euronext è molto più ambita per i regolamenti sulla governance e sul voto multiplo che consentono maggiore potere decisionale agli azionisti. Infine, ci sarà una terza società di nuova costituzione, Louis Hachette Group, che, quotata a Parigi, riunirà tutte le attività possedute da Bolloré nel settore dell’editoria e della distribuzione, ovvero il 63 per cento del gruppo Lagardère e il 100 per cento di Prisma Media.
In questa configurazione, Vivendi, benché fortemente ridimensionata, rimane “un attore di primo piano” nei settori della creatività, continuerà a sviluppare Gameloft (videogiochi) e “a gestire attivamente un portafoglio di investimenti come quello in Universal Music Group pur avendo i mezzi e l’ambizione per avviare nuovi investimenti in attività correlate”. E’ in questo “portafoglio” che vengono parcheggiate le partecipazioni italiane che tanto filo da torcere hanno dato negli ultimi anni a Bolloré, in particolare quella in Tim. Sì, perché se il finanziere francese, che a un certo punto aveva messo l’Italia nel mirino, è uscito da Mediobanca nel 2022 con una plusvalenza di oltre 50 milioni e ha congelato la partecipazione del 20 per cento in Mediaset-Mfe, dopo avere sostanzialmente perso la battaglia con Berlusconi per il controllo, con Tim ha perso circa 3 miliardi secondo alcune stime di mercato.
L’investimento nell’ex monopolista telefonico si è rivelato un pozzo senza fondo, oltre che terreno di un aspro scontro con il cda di Tim guidato da Pietro Labriola per il fatto che la decisione di scorporare e vendere la rete fissa a Kkr, e a un parterre di investitori con il Mef socio rilevante, non è passata per l’assemblea degli azionisti, dove Vivendi ritiene che avrebbe avuto buone chance di bloccare l’operazione. L’azione legale intrapresa contro la cessione ha già avuto una prima decisione contraria a Vivendi dal tribunale di Milano, ora si attende in autunno la sentenza. Nel frattempo, la partecipazione in Tim è stata già classificata da Vivendi come “asset for disposal”, in parole povere disponibile per la vendita.
tra debito e crescita