Un giro nell'Italia innovativa - 3
Idee innovative per governare il traffico. Viaggio nel Falco
Oltre i guai c’è di più. Genova e quel laboratorio sul futuro, e dall’alto, contro l'Italia delle congestioni. In questo ambiente talvolta sulfureo, l’operazione Falco porta una ventata di futuro tecnologico
“Traffico aereo assente, vento tre metri al secondo, satellite agganciato, può decollare”. L’operatore trasmette le informazioni al pilota che sta nella cabina di guida a Firenze, mentre il centro radio di Genova segue su una serie di schermi l’intera operazione. Il Falco esce dal nido e si alza lentamente, decollo verticale come un mini Sea Harrier. Perché il Falco con la maiuscola non è un uccello né il suo rifugio è fatto di rami e di sassi. È vero, il nido sta semi nascosto ai piedi di una collinetta, circondato da odorosi cespugli di finocchio selvatico, ma è una sorta di gabbia metallica che si apre e si chiude a comando. Il meticciato tra fauna, flora e tecnologia non finisce qui. Basta vedere l’uccello meccatronico salire in piena velocità con un flebile ronzio dei suoi rotori e raggiungere in 10 secondi la quota massima di 150 metri. Del falco, con la minuscola, ha la rapidità, ma soprattutto lo sguardo perché il Falco con la maiuscola consente di vedere anche i minimi dettagli distanti chilometri. Ma non si lancia sul bersaglio per predarlo, bensì per aiutarlo, per salvarlo se necessario, in generale per controllare che tutto vada bene. In verità, più che a un uccello assomiglia a un granchio volante con i quattro rotori in cima a dei sostegni che assomigliano a zampe. Una struttura che dà più stabilità a una macchina piccola e leggera che mima il comportamento di un animale, ma dialoga con l’intelligenza artificiale.
Siamo lungo l’A10 che da Genova porta a Savona, in località Piani d’Invrea dove la società Autostrade ha collocato il nido per uno dei droni che sta cominciando a utilizzare come supporto ad alta efficacia delle telecamere e degli strumenti con i quali controlla il traffico. Ce ne sono altri quattro per sorvolare il tratto assegnato sull’A26 dal bivio A10 a Ovada, e sull’A10 tra l’allacciamento con la A26 e Varazze. I loro occhi digitali inviano le immagini agli schermi collocati nel centro radio, nella direzione di tronco genovese. Alzarsi in volo non è così semplice, intanto ci vuole l’autorizzazione dell’ente di controllo, l’Enav, poi occorre monitorare che non ci siano altri impedimenti. Nella sala comandi s’innesca una triangolazione con l’operatore, il pilota, il drone. Fondamentali sono le condizioni atmosferiche. Il Falco resiste anche a un vento da 70 chilometri l’ora, ma le folate improvvise rischiano di fargli perdere la rotta mentre gli scrosci improvvisi o meglio le secchiate d’acqua che il cielo di Liguria così terribile quando si fa brutto, getta dalle colline verso il mare. D’inverno usare i droni è senza dubbio più difficile.
Ogni volo dura circa 25 minuti poi le batterie si esauriscono, ma possono essere ricaricate in meno di 15 minuti. In futuro si potrà fare anche in volo. Arrivato in quota l’occhio del Falco ha un raggio visuale di 10-12 chilometri, e lo zoom consente di vedere fin nei minimi dettagli. Poco dopo aver assistito al nostro esperimento il Falco si leva ancora e individua un problema che nessun altro aveva visto, un incidente tra due automezzi pesanti per fortuna non di grave entità, ma tale da provocare una reazione a catena. Il traffico viene interrotto e deviato prima che si formino code o persino tamponamenti. Grazie all’uccello meccanico si è evitato il peggio. Funziona, funziona per davvero dicono i tecnici delle Autostrade. C’è da battere le mani come fanno i turisti quando l’aereo tocca senza sobbalzi la pista d’atterraggio. Nel tronco di Genova sono installate 1.300 telecamere, eppure ci sono delle aree grigie e punti impossibili da coprire da terra, così, tra l’evento e l’intervento si crea una zona d’ombra che spesso si rivela determinante, il drone invece contribuisce in modo importante a illuminarla. Il programma, ci spiegano i tecnici, è stato articolato con l’attivazione dei droni in maniera sia programmata sia occasionale, e ha consentito un incremento dell’11% di eventi rilevati e una diminuzione del 50% dei tempi di intervento. I risultati ottenuti a valle della prima fase progettuale sono stati condivisi con l’Enav, che ha fornito spunti utili all’individuazione di ulteriori miglioramenti tecnici e operativi.
Genova è un laboratorio, nel bene e nel male. Lo è persino la Genova finita sulle prime pagine per l’inchiesta giudiziaria sullo scambio di mazzette e favori, che s’interseca con una battaglia a tutto campo per la leadership del porto. Il nodo autostradale è il più intrecciato d’Italia. Incide in modo determinante l’orografia del territorio e l’elevatissima concentrazione di gallerie e viadotti: la rete ligure conta 233 gallerie (il 39% del totale a livello nazionale ASPI) e 516 ponti e viadotti (circa il 26% dei ponti e viadotti dell’intera rete nazionale ASPI). Le gallerie sono vecchie e hanno bisogno di un salto di qualità. I lavori cominciati già prima della pandemia le hanno trasformate, secondo i tecnici hanno dato loro altri cinquant’anni di vita. Qui sono partite sperimentazioni di tecnologia e ingegneria avanzate, si pensi solo al Road Zipper System, sempre in A26, che consente configurazioni di cantiere flessibili grazie a una gestione dinamica delle corsie riconfigurate in tempo reale e in sicurezza, tenendo conto del traffico.
La città della Lanterna ha un sistema complesso di infrastrutture autostradali e ferroviarie non sufficiente a smaltire il traffico. Genova è nata e cresciuta aggrappata alle colline che piombano sul mare, la mancanza di spazio è una condizione con la quale ha sempre dovuto fare i conti; è una città “policentrica”, costituita da ben diciannove centri, ciò ha evitato che si creassero delle periferie come nella maggior parte dei centri urbani; è una città medioevale, con un tessuto urbano di matrice araba e a stretto contatto con il porto; è una città “densa” di uomini e cose dove lo spazio pubblico è scarso, non c’è mai stata una piazza pubblica, perché ogni famiglia dell’oligarchia che reggeva la Repubblica aveva una sua area, con suoi immobili, e una sua piccola piazza; è una città artificiale che ha strappato alle acque le sue più importanti infrastrutture: banchine portuali, porto di Voltri, aeroporto, Fiera del Mare, l’ottocentesca circonvallazione a Monte, così come la sopraelevata lungo l’arco portuale. “Se una cosa funziona a Genova, allora funziona ovunque”, dicono i tecnici dell’Aspi. Ma non tutto funziona.
La Gronda, la tangenziale autostradale che consente di aggirare la città, è di nuovo in forse, secondo Il Secolo XIX, (appena acquistato da Gianluigi Aponte il patron della Msc, che ha un ruolo sempre più importante non solo nel porto, ma sulla intera città) scrive che salgono i costi, ma non ci sono i fondi e il governo cerca un modo per finanziarla, partendo dal fatto che i soli pedaggi non bastano. Il tunnel sotto il porto progettato da Aspi, è un punto interrogativo. I lavori sono cominciati nel marzo scorso, sarebbe la prima opera del genere in Italia e la più grande d’Europa, ma è strettamente intrecciato con quel che accadrà al porto che è sotto la spada di Damocle, o meglio della magistratura. I giudici hanno contestato l’appalto a Webuild della diga foranea che potrebbe ampliare il potenziale da 4 a 10 milioni di container (oggi ne movimenta 3 milioni). Le banchine sono divise tra grandi gruppi internazionali, la danese Maersk numero uno al mondo nel traffico mercantile, la Msc di Aponte, numero due, la Cosco controllata dal governo di Pechino, la tedesca Hapag-Lloyd, la Psa di Singapore. Tra questi si è fatto spazio negli ultimi vent’anni Aldo Spinelli alleandosi ora con l’uno ora con l’altro, manovrando tra la Msc e la Hapag. L’inchiesta per aver pagato mazzette in cambio di lavori apre un vaso di pandora. Magari tutti i demoni prima o poi si faranno imbottigliare, ma intanto il tempo passa, i lavori diventano più costosi e più complicati. I collegamenti ferroviari tra Genova, Milano e Roma sono lenti e affidati a treni convenzionali se non locali. È in costruzione dal 2013 il Terzo Valico per portare l’alta velocità nel tratto Genova-Milano, dovrebbe essere completato nbel 2027. Con la capitale non resta che prendere l’aereo.
In questa situazione difficile, in questo ambiente talvolta sulfureo, l’operazione Falco porta una ventata di futuro tecnologico. È un’iniziativa unica in Italia, la prima in Europa, sia per il numero di ore in volo sia per le caratteristiche della sperimentazione, che ha previsto l’esecuzione di voli notturni (con telecamere termiche e raggi infrarossi) e il monitoraggio di transiti eccezionali anche in corrispondenza di cantieri, lungo alcuni tratti della A26 e della A10. I droni vengono adattati al compito e programmati da Movyon, la filiale tecnologica di Aspi. Nella prima fase sono stati pilotati a vista da operatori in campo, mentre nella fase in corso è stato avviato il pilotaggio remoto. Dalla sperimentazione a un nuovo standard di controllo, è questo l’obiettivo, spiega la società Autostrade, impiegando i “falchi” nelle normali attività di pattugliamento della rete, garantendo minori tempi di intervento e una migliore qualità del servizio. La prossima tappa probabilmente sarà in Toscana, lo snodo di Firenze è anch’esso in sofferenza. Sciogliere gli intrecci che bloccano lo sviluppo è una necessità per chi gestisce le autostrade, ma più in generale è una priorità del paese. La matassa genovese, politica, sociale, economica, è legata anch’essa alle infrastrutture, ne dipende e le influenza in modo determinante. Sbrogliarla è complicato, è un lavoro da certosini che non s’addice né a mannaie giudiziarie né a colpi di spugna.