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Riformare la Ragioneria dello stato

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

La voragine fiscale del Superbonus ha mostrato che la Rgs ha un deficit di competenza e indipendenza. Non se ne esce cambiando le persone (Perrotta al posto di Mazzotta), ma riformando l'istituzione: audit sulle stime dei bonus edilizi e procedura rafforzata per la nomina (come Istat e Upb)

La vicenda del Superbonus, il disastro di finanza pubblica più grande della storia nazionale, va verso un epilogo davvero triste. È ormai evidente che, oltre alla politica, una grande responsabilità l’ha avuta la Ragioneria generale dello stato (Rgs) che ha sballato completamente previsioni di spesa: secondo le relazioni tecniche, il costo dei bonus edilizi sarebbe dovuto essere di 71 miliardi e invece è stato di 220 miliardi.

Un buco di 150 miliardi, di cui circa 70 miliardi solo nel 2023, dopo che il governo Meloni aveva creduto di aver chiuso il rubinetto proprio sulla base delle indicazioni della Rgs. Questa vicenda, dicevamo, si sta risolvendo con un accordo che, apparentemente fa contenti tutti: il Ragioniere Biagio Mazzotta si dimette in cambio della presidenza di Fincantieri (con stipendio quasi triplicato) e al suo posto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dovrebbe mettere una persona come Daria Perrotta, capa del suo ufficio legislativo. 

Un disastro epocale, che in altri tempi o paesi avrebbe scosso le istituzioni, viene risolto nelle segrete stanze del Mef, senza lo scrutinio dell’opinione pubblica. L’occasione per cambiare le persone, ma non per risolvere le profonde criticità emerse. Che sono essenzialmente due: competenza e indipendenza, le qualità fondamentali per una burocrazia efficiente.

La Rgs è un’istituzione tanto sconosciuta quanto fondamentale: tutela l’art. 81 della Costituzione sull’equilibrio di bilancio. Stima il costo dei provvedimenti, valuta le coperture per farvi fronte e monitora la spesa dopo l’approvazione. E per questo compito il Ragioniere dello stato ha un potere insindacabile, la cosiddetta “bollinatura”: il visto di conformità sulle stime degli oneri e delle relative coperture, senza del quale un provvedimento non può essere controfirmato dal Presidente della Repubblica e trasmesso alle Camere. Niente “bollinatura”, niente legge.

Se un parlamentare o un ministro ritiene che la Rgs abbia sbagliato i conti, può interloquire col Ragioniere e comunicargli le proprie ragioni, ma non ha altro strumento che la persuasione: non esiste alcuna procedura attraverso la quale le stime possano essere contestate. Inoltre, il Ragioniere è inamovibile: eccetto la finestra di spoils system, non può essere sostituito dal governo né dal Parlamento (per questa ragione, per ottenere le dimissioni di Mazzotta, è stata imbastita una negoziazione con incentivo all’esodo).

A fronte di questo potere enorme e inappellabile, però, non c’è trasparenza. Non esiste un sito o un luogo nel quale un soggetto terzo  possa reperire indicazioni sulla metodologia adottata dalla Rgs per fare le proprie stime. Né esiste un archivio con  le valutazioni effettuate: sono sparpagliate nei documenti parlamentari o possono essere reperite per via informale se si ha la fortuna di conoscere la  persona giusta al posto giusto. Neppure la metodologia impiegata è nota: non si sa come la Rgs faccia i conti, non si sa se nel tempo cambi o aggiorni i criteri. Non si sa nulla, non si può verificare nulla, non si può replicare nulla.

Questo sistema un po’ opaco, e con un equilibrio precario, ha retto finché la Rgs ha effettivamente agito da “guardiano dei conti”, ma dopo i devastanti e ripetuti errori del Superbonus qualcosa è cambiato. Il danno alla credibilità della Rgs per le stime sballate dà l’occasione al ministro dell’Economia di nominare come Ragioniere una sua stretta collaboratrice: una nomina che rompe la tradizione che vedeva prevalere la scelta di un interno alla Rgs, a parte rare eccezioni di “esterni” come il caso di Daniele Franco che però proveniva da un’istituzione di garanzia come la Banca d’Italia. Insomma, la perdita di competenza rischia di comportare anche una perdita di indipendenza. L’esatto contrario di ciò che è necessario a evitare che si ripetano nuovi Superbonus.

 Questa voragine nei conti pubblici dovrebbe, invece, essere l’occasione per una riforma della Rgs. Per rafforzarne competenze e indipendenza, rendendone più trasparenti le valutazioni. Sul primo fronte, il governo o il Parlamento dovrebbero chiedere un audit per capire cosa non ha funzionato nelle stime, se è necessario aggiornare i modelli, se c’è bisogno di persone con competenze più economiche che contabili (dato che nella relazione tecnica del Superbonus la Rgs ha semplicemente raddoppiato i costi del vecchio ecobonus al 50-65 per cento, senza considerare la differente natura di un incentivo superiore al 100 per cento). Sul secondo fronte, invece, si potrebbe riformare la procedura di nomina del Ragioniere. È paradossale che una figura così importante, e che richiede forte autonomia dal governo, oggi venga semplicemente scelta dal ministro dell’Economia e nominata dal governo.

Ci sono istituzioni come l’Istat e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), di cui tutti riconoscono l’autonomia, che seguono una procedura più elaborata che garantisce maggiore trasparenza per valutare sia la competenza sia l’indipendenza. I candidati inviano il curriculum, tra questi i presidenti delle Camere o il ministro competente sceglie il più adeguato, la cui nomina è subordinata al parere favorevole delle commissioni parlamentari a maggioranza dei due terzi. Eppure nessuna di queste istituzioni che segue una procedura rafforzata di nomina ha un potere vagamente comparabile alla Rgs, che può porre il veto su qualunque provvedimento.

Lo stesso argomento sollevato dalle opposizioni contro Perrotta dovrebbe spingere verso procedure di garanzia: è interesse di tutti non solo prevenire disastri come il Superbonus, ma anche evitare di doverne gestire l’eredità. Per la stessa ragione, i metodi della Rgs e le sue stime dovrebbero essere rese pubbliche e accessibili, in modo che chiunque possa metterle alla prova e, magari, aiutare le istituzioni a riconoscere gli errori prima che sia troppo tardi. 

L’Italia, con il debito pubblico che si ritrova, ha bisogno di rafforzare le istituzioni fiscali e non di usarle come merce di scambio, come vuoto argomento di polemica politica o come postazioni da occupare.

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