Bolla e balle

No, il crollo in Borsa dei campioni della tecnologia americani non annuncia la fine di un mondo

Stefano Cingolani

Analisi del giovedì grigio in Borsa e di un venerdì di fumo a Londra: i mercati scossi dai deludenti dati finanziari delle Big Tech danno però un vincitore sopra tutti gli altri, cioè Nvidia. Probabilmente siamo di fronte a un nuovo classico ciclo di innovazione e selezione, di "distruzione creatrice"

Un giovedì grigio in borsa e un venerdì fumo di Londra. La pur lieve risalita della disoccupazione Usa a luglio (dal 4,1 al 4,3%) ha dato una scossa, ma la vera doccia fredda sui mercati è scesa dal Big Tech. L’indice Nadaq ha registrato le perdite peggiori. La bolla si sta sgonfiando? I deludenti dati finanziari sembrano confermare questa impressione. Il titolo Intel è caduto del 20%. Male Amazon, battono il passo Google e Microsoft, se la cavano Apple e Meta. Persino Nvidia, la regina dell’Intelligenza artificiale che capitalizza 2.600 miliardi di dollari, mostra segni di stanchezza: oggi il titolo è sceso dell’11%. Difficile tirare conclusioni. Si sente in sottofondo un ron ron dal fronte conservatore: le auto elettriche non tirano, il tutto elettrico è una follia, la conversione ecologica è ideologica, quindi velleitaria, le borse si sono illuse e con esse i governi “modernisti”, andremo tutti incontro a cocenti delusioni. Per molti versi è vero che c’è stato un gran polverone finanziario, ora si sta depositando ed emerge il sottostante industriale. Ma le cose sono molto più complicate e non consentono facili illazioni. Probabilmente siamo di fronte a un nuovo classico ciclo di innovazione e selezione, di “distruzione creatrice”.
 

Oggi il Wall Street Journal ha spiegato in un ampio articolo che la corsa in questo momento ha un solo vincitore: Nvidia. L’ultima battuta d’arresto in borsa non cambia la sostanza; tutti gli altri grandi gruppi americani inseguono a fatica. Il caso Intel lo dimostra. Il colosso dei semiconduttori ha annunciato 15 mila licenziamenti e una sospensione nella distribuzione dei dividendi. L’amministratore delegato Pat Gelsinger vuole tagliare i costi di 10 miliardi di dollari il prossimo anno. Nel secondo trimestre ha perso 1,6 miliardi dollari rispetto a un miliardo e mezzo di profitti un anno prima; nel mercato dei chips è indietro rispetto ai due giganti asiatici, il coreano Samsung e il taiwanese TSMC che negli Usa rifornisce AMD il quale, secondo una recente ricostruzione, voleva comprare Nvidia anni fa. È stato il fondatore, il taiwanese Jens-Hsun Huang, a opporsi e ha avuto ragione. La sua compagnia ha battuto tutti perché ha scelto per prima e con massicci investimenti di produrre chip per l’intelligenza artificiale. È questa la nuova pietra di paragone. Intel l’ha capito, ma, impegnata in un’opera di risanamento e rilancio, è balzata tardi sul treno in corsa e ha potuto occupare solo gli ultimi vagoni rimasti. Non si tratta certo di cantare il de profundis, ma di analizzare come si sta conducendo la guerra dei chips, in un campo di battaglia ormai determinante che si chiama IA, dove gli Stati Uniti sono in vantaggio sull’Asia (e sulla Cina in particolare), mentre l’Europa batte il passo.
 

Siamo a un punto di svolta in un mercato che sembra traballante secondo Robert Armstrong del Financial Times. Dal 2022 in poi, l’indice Philadelphia dei semiconduttori è cresciuto di ben due volte e mezzo spingendo in alto l’indice Standard & Poor’s salito di una volta e mezzo. Se torniamo indietro al 2016, dunque prima della pandemia, vediamo un balzo ancor più impressionante dell’indice Philadelphia, da 100 a 700 punti. La conclusione è che l’industria dei semicoduttori si sta espandendo nell’economia mondiale allo stesso passo con il quale nel secolo scorso salì quella dell’acciaio. Se diamo uno sguardo storico e non soltanto congiunturale, sostiene Armstrong, la nostra valutazione cambia. E alla fine una battuta d’arresto o anche una momentanea inversione del ciclo può essere salutare, perché spinge le imprese a ristrutturarsi e a consolidarsi. Ottimismo della volontà? No, sguardo lungo rispetto a una prospettiva troppo ravvicinata. Uno sguardo che non dà ragione ai fautori della svolta conservatrice. Può darsi che questo sia un momento di riassetto e di pausa, ma la tendenza è chiara, non mostra nessuno ritorno indietro e, con buona pace di Keynes, nel lungo termine non saremo tutti morti, il suo detto, stradetto, non vale per le grandi trasformazioni industriali.

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