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Paradossi

Caccia alle terre rare, dove la Cina conduce e noi arranchiamo

Chicco Testa

L'Europa è scarsa di materie prime necessarie alla transizione verde come il rame, il litio e il cobalto, mentre il gigante asiatico domina nella raffinazione e trasformazione di questi materiali: questo ci porta in svantaggio nella corsa per la green economy. Qualche idea

Uno dei paradossi della transizione verde è quello di avere riproposto con urgenza un’attività che in una parte del mondo occidentale, in Europa soprattutto, era quasi dimenticata. Ne parla in un libro esemplare per chiarezza e dati Giovanni Brussato (“Cina, la nuova egemonia, la guerra dei metalli rari”, Guerini editore). Il futuro bisogno di materie prime specificatamente destinato alla transizione si annuncia imponente e ben al di là dell’attuale capacità di mettere in campo un’offerta adeguata. La transizione verde non è una processo verso un’economia dei servizi e “immateriale”, ma al contrario ha caratteristiche tipiche di ogni nuova attività industriale. A cominciare dai materiali necessari. Stiamo parlando di vari materiali. Il rame prima di tutto, visto che l’elettrificazione dei consumi e lo sviluppo delle rinnovabili comportano una crescita quasi esponenziale delle reti di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica. Poi tutti i materiali  per le batterie, necessarie sia per alimentare le auto elettriche sia per stoccare energia elettrica e quindi compensare l’intermittenza di sole e vento. Litio, cobalto, grafite, manganese, terre rare, alluminio.  E ovviamente i materiali necessari per realizzare pannelli fotovoltaici e torri eoliche. Le proiezioni della domanda si spingono fino al doppio per la produzione di rame, 6/7 volte la produzione attuale per il litio, 5 volte per il cobalto solo per fare qualche esempio.
 

Ma ci sono vari problemi. Di quantità e di qualità. Servirebbero innanzitutto ingenti investimenti in nuove attività minerarie, e questo è il primo problema, le risorse finanziarie necessarie, visto che sia l’attività di ricerca che quella di estrazione sono fortemente “capital intensive”. Ma ce ne sono almeno un altro paio che discendono dalle caratteristiche di questa attività. I tempi che fra ricerca e sfruttamento sono di solito molto lunghi, parliamo di decenni e di molti anni solo per la ricerca, e le autorizzazioni conseguenti,  e richiedono stabilità normativa, politica e finanziaria. Inoltre il carattere poco sexy di questa attività, praticamente messa al bando in Europa, con la conseguenza di un drastico calo delle specializzazioni universitarie nel settore. Sempre meno ingegneri minerari escono dalle università e alcune di esse addirittura hanno eliminato i corsi necessari, con la conseguenza di un drastico invecchiamento della forza lavoro qualificata.
 

L’Europa appare come un bambino balbettante in questa ricerca di materiali. Deve cominciare praticamente da  zero e anche quando ha risorse accertate si trova di fronte a opposizioni, naturalmente da parte degli stessi che predicano la green transition, e tempi autorizzativi che fanno sì che fra l’individuazione della risorsa e l’inizio dello sfruttamento passino almeno 10/15 anni. Per alcuni materiali come le terre rare che contengono materiali radioattivi il percorso appare quasi impossibile. Mentre gli Usa bene o male si difendono, la Cina persegue una strategia tesa a massimizzare il suo ruolo dominante nell'economia dei tre nuovi settori su cui ha puntato: auto elettriche, batterie e rinnovabili. Non è tanto vero, come spesso si pensa, che la Cina possieda vasti possedimenti minerari in Africa. Piuttosto i suoi punti di forza sono due. Alleanze geopolitiche ed economiche con paesi dotati di materie prime anche rinunciando a una parte dei profitti e soprattutto una capacità industriale di raffinazione e trasformazione ormai leader  nel mondo e in continua crescita. Esemplare è il caso del rame, di cui  la Cina possiede solo il 3 per cento delle risorse primarie ma ne lavora a livello mondiale il 50 per cento. O della grafite, per la quale la sua capacità industriale è del 100 per cento. Se ti serve la grafite devi andare dai cinesi. Si può naturalmente ironizzare sugli approcci del governo italiano all’Africa, eppure il rapporto con quel continente appare  fondamentale non solo per le risorse primarie, ma anche per lavorazioni che l’Europa non vuole e forse non può rendere operative. Fra l’altro uscendo dal campo della transizione verde in senso stretto, ma mica tanto perché acciaio e cemento servono anche lì, la stessa capacità la Cina la sta mettendo in campo anche in tutto il settore petrolchimico, raffinazione e prodotti chimici, oltre che nei settori appena detti. Il mondo insomma continua a essere fatto di petrolio, acciaio, cemento e plastiche. Con in più i nuovi materiali. E noi ne siamo fuori.

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