editoriali

L'assurdo degli ombrelloni chiusi

redazione

L’inedito sciopero dei balneari e la solita debolezza del governo con le lobby

Come i picchi d’afa in città, l’esodo e il controesodo e ora anche i disagi dell’overtourism, lo “sciopero dei balneari” rischia di diventare un classico delle future estati italiane. Ma in questo caso, più che negli altri, si tratta di emergenza-non emergenza, di una vicenda sociologicamente squallida e che soprattutto sarebbe economicamente, e politicamente, facile da gestire. Se non fossimo un paese in cui le piccole lobby con capacità di ricatto sociale spicciolo (non trovare un taxi, non trovare un ombrellone o una pompa di benzina) sono quelle che più facilmente l’hanno vinta. E se non fossimo in presenza, lo abbiamo detto molte volte, di un governo che ha sempre affrontato con miopia e con una idea di guadagno spicciolo in consensi (mal riposta, presumiamo) le questioni inerenti alle piccole lobby non regolate. Arriva Ferragosto e i balneari, attraverso le sigle Fipe Confcommercio e Fiba Confesercenti hanno indetto per il 9 agosto uno sciopero di due ore, “simbolico” durante le quali gli ombrelloni resteranno chiusi.

E al di là della mezza mattina simbolica, quel che appare chiaro è che dei diritti e della soddisfazione dei clienti-consumatori nulla importa. Al governo chiedono la “risoluzione della gravissima situazione che sta vivendo il settore”, che tradotto significa soprattutto non fare le gare per le assegnazioni delle licenze, previste dalla normativa europea. E soprattutto indennizzi – che il governo sembra ben disposto a stabilire – per ricompensare gli “importanti investimenti realizzati negli anni”. Chiunque frequenti le spiagge italiane sa che in molti casi questi “investimenti” non esistono proprio. E invece laddove sono stati fatti – molte spiagge sono ormai dei veri luoghi di divertimento e beauty farm a cielo aperto – ci si domanda perché non dovrebbero vincerla, la gara. Ma forse all’Italia va bene così: sempre più italiani sceglieranno migliori strutture all’estero. E avremo risolto almeno il problema dell’overtourism.

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