Tagliare o non tagliare i tassi. L'azzardo della Fed e la finanza che s'intreccia con la politica

Stefano Cingolani

L'ex consigliere di Obama accusa la Fed di ignorare il rischio recessione. Le borse mondiali reagiscono, dopo tre giorni a picco, ma resta il timore di un "Kamala crash" (copyright Donald Trump). Powell e Yellen sotto pressione a un mese dalla riunione, con vista presidenziali

Jerome Powell dovrebbe darsi un calcio negli stinchi per non aver ridotto i tassi d’interesse la scorsa settimana”. Jason Furman, docente di Harvard ed ex consigliere di Barack Obama (ma non di Kamala Harris), nel suo articolo sul Wall Street Journal ha scritto quel che la maggior parte dei democratici pensa. La loro irritazione si taglia con il coltello anche se le Borse si sono riprese dopo tre giorni in discesa libera. Tokyo ha chiuso con un +10 per cento, le piazze europee restano fiacche, attorno a crescita zero, mentre a Piazza Affari prevalgono le vendite (l’indice Ftse-Mib comunque è sceso solo dello 0,62 per cento), il Dow Jones e lo Standard & Poor’s 500 aumentano oltre l’1 per cento, risale anche il Nadaq, l’indice dei titoli tecnologici. Attenti a non tirare troppi sospiri di sollievo; non sono state recuperate pienamente le perdite dei giorni scorsi; c’è un’atmosfera da wait and see su tutti i mercati a cominciare da quello americano dove viene alimentato il sospetto che la Federal reserve non voglia far nulla per evitare una recessione. Per ora è solo un incubo, ma lo staff della Casa Bianca e quello di Kamala Harris non dormono certo tra due cuscini. Una crisi economica alla vigilia delle elezioni serve su un piatto d’argento la vittoria a Donald Trump il quale ha già coniato lo slogan per l’occasione: Kamala crash. Una preoccupazione non estranea alla scelta del running mate Tim Walz
      

Il presidente della Banca centrale finora ha fatto parlare i banchieri più autorevoli del Sistema della riserva federale, come Austen Goolsbee di Chicago e Mary Daly di San Francisco, i quali hanno voluto rassicurare i mercati finanziari: dai loro osservatori privilegiati non vedono arrivare nessuna crisi economica: il pil è cresciuto dell’1,4 per cento nell’ultimo trimestre e si stima che quest’anno possa aumentare almeno del 2,2 per cento. Il quotidiano di Wall Street posseduto da Rupert Murdoch difende la scelta di non stampare moneta, ce n’è persino troppa, ha creato una bolla finanziaria che si deve sgonfiare prima che scoppi,  si legge in un editoriale pubblicato ieri. La caduta dei giorni scorsi non è che “una correzione”. Ma se il barometro delle aspettative volge al peggio, c’è davvero poco che i democratici possano fare. Tace fino a questo momento anche la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, economista con la maiuscola, moglie di George Akerlof che ha vinto il Nobel nel 2001 insieme a Michael Spence e Joseph Stiglitz “per le loro analisi dei mercati con informazioni asimmetriche”, dice la motivazione.

 

Dunque non si può dire che la condotta della Borsa sia ignota in famiglia. Eppure basta poco perché i comportamenti reali sfuggano alla razionalità matematica. Il messaggio tranquillizzante è che la Fed potrà ridurre i tassi di riferimento, oggi al 5,25-5,50 per cento, nella riunione di settembre; e ormai manca solo un mese. Powell, nominato da Trump, ha operato con indipendenza e non ha mai messo i bastoni tra le ruote a Joe Biden. Lo stesso Furman in realtà salva la Fed invitandola a tenere i nervi saldi e serbare “nella sua tasca posteriore” un vero taglio dei tassi come misura d’emergenza. Sono semmai i repubblicani a lamentarsi perché Powell avrebbe chiuso un occhio di fronte all’eccesso di spesa pubblica per finanziare l’Ira (l’Inflation reduction act), il grande piano di riconversione ecologica che stanzia mille miliardi di dollari in dieci anni sperando di ricavarne qualcosa in più, ipotesi alla quale pochi davvero credono. La realtà per ora è che il bilancio federale ha accumulato un deficit pari al 6,9 per cento del pil, lasciando una pesante eredità al prossimo presidente anche se sarà Trump, il quale rodomonteggia come suo solito promettendo che con lui tutto andrà a posto, dall’economia alla guerra. La finanza s’intreccia con la politica; d’altra parte non c’è nulla di più politico che lo stato quando stampa moneta.