Molte delle nostre spiagge contengono sabbie non locali, chissà cosa ne pensano i sovranisti (foto Ansa) 

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In questo mondo di sabbia. Storie di cemento e calcestruzzo contro la retorica catastrofista

Antonio Pascale

Il materiale di cui meno si parla e che più ci serve. Un elemento fondamentale per il nostro mondo, anche se tendiamo a non notarla, se non per lamentarci delle spiagge poco pulite

Siete ossessionati dalla carbon footprint? Avete scelto il treno e non l’aereo per inquinare meno? Siete andati al mercatino domenicale della vostra associazione di categoria preferita per comprare i famosi prodotti a chilometro zero, che però magari provengono dai mercati generali sulla Tiburtina, e scommetto che spesso sono raccolti dagli schiavi di ultima generazione – quelli che, tra l’altro, non sono mica a chilometro zero, visto che arrivano da lontano, però vengono pagati zero? Per voi mangiare è un atto politico perché volete migliorare il mondo? Siete tra quelli che hanno fatto campagna elettorale e promozionale (di voi stessi) al grido di “fotovoltaico uber alles”? Ecco, se siete ossessionati (come me), e visto e considerato che il problema dello sfruttamento delle risorse (nonché delle emissioni) è molto serio e di sicuro non risolvibile in tempi brevi (dunque per forza di cose dovremmo produrci in uno sforzo collettivo e soprattutto proiettare questo sforzo sine die), in nome del sano realismo conviene cominciare a studiare la materia di cui è fatto il mondo – per citare l’imprescindibile libro di Ed Conway, “La materia del mondo. Una storia delle civiltà in sei elementi”, Marsilio. 

Il sano realismo è di fondamentale importanza perché l’impressione ricorrente è che pochi capiscono la materia di cui è fatto il mondo. Visto che nessuno ama studiare scienze dure e dunque mancando l’apporto tecnico, spesso nelle questioni ambientali si fa a gara a sparare cifre, chi offre di più: uno arriva e dice “dobbiamo ridurre del 30 per cento le emissioni”, un altro insiste, “no, del 50 per cento”, un terzo la butta sul 40, infine si fa la media e su questa si costruiscono dei programmi. A partire da questi programmi poi si impostano suggestive campagne elettorali (ci vuole un attimo per trovare la frase giusta, tratta da un povero poeta che così, inconsapevolmente, visto  che magari è morto da un millennio, viene promosso a stratega ufficiale del partito). 
Dichiarazioni suggestive, dicevamo, ma del tutto irrealistiche che fanno bene  solo a chi le pronuncia, assicurandogli la poltrona, ma certamente fanno male alla conoscenza, energetica e non solo. Per evitare il circolo vizioso e promuovere il necessario atteggiamento realista è utile – per citare Vaclav Smil – sottolineare che noi siamo una società basata sui combustibili fossili: la nostra ricchezza, il nostro benessere, la qualità della vita sono tutti basati su carbone, petrolio e gas (sono economici e con poco volume producono molta energia), ma non possiamo continuare a usare i fossili. Anche se il riscaldamento climatico non esistesse (esiste ed è di origine antropica), è insensato scavare miniere e consumare risorse (ogni anno estraiamo 10 miliardi di tonnellate di carbone). Risorse che poi vanno lavorate con costosi processi industriali (pensate solo a che significa raffinare il petrolio). 

Ma per restare in tema di sano realismo e affrontare l’aspetto paradossale del problema dei fossili, consideriamo questo dato: nel 1997 la quota di energia totale derivata dai fossili si attestava all’86 per cento e nel 2022 si è fermata a un sorprendente 82 (il rimanente è il risultato dell’idroelettrico, del nucleare  e una minima parte del solare ed eolico). Dopo 25 anni di slogan, campagne elettorali, blocchi stradali, opere d’arte insudiciate, rabbie e frustrazioni, ansie da fine del mondo, soldi spesi per incentivare fonti alternative, dopo 25 anni, dicevamo, la quota di energia ricavata dai fossili è scesa di un misero 4 per cento. E tuttavia ci si avventura nel dichiarare che tra 24 anni, ovvero nel 2025, dobbiamo arrivare a zero emissioni. Io poi lo capisco, per un gol simile bisogna pur attivare tutti i nostri schemi retorici, è una grande sfida che dobbiamo portare avanti, roba da laurea in Scienze della comunicazione (per inciso faccio notare che da buon ateo ascolto spesso Radio Maria e una volta il fondatore, padre Livio, disse che per far proselitismo ed evangelizzazione loro hanno chiesto aiuto a tutti tranne che a quelli che uscivano da Scienze della comunicazione). 

Ma anche gli slogan suggestivi andrebbero misurati, altrimenti vengono rubricati sotto la voce fuffa. Per un obiettivo simile dovremmo infatti chiederci: visto che più della metà delle persone vive in megalopoli, come fare a produrre cibo, costruire alloggi, riscaldarli? Oppure, abbiamo le infrastrutture necessarie per ridurre la dipendenza dai fossili? La manodopera, la tecnologia? Insomma, prima dovremmo conoscere a menadito l’abc del mondo, la sua materia, poi mettere su dei piani realistici. Invece noi facciamo il contrario, spariamo la cifra e così ci garantiamo l’ingresso nell’Olimpo dei puliti e giusti. 
Sapete perché? Perché qui si richiede la noiosa e poco attraente competenza del perito industriale e noi invece siamo artisti, poeti, santi e navigatori e quindi mica ci mettiamo ad esaminare l’abc del mondo. No, al contrario, la nostra creatività si raffina per fare il reel su Instagram, la bella dichiarazione in televisione. 

Per esempio, parliamo della sabbia: un elemento fondamentale per il nostro mondo, anche se tendiamo a non notarla, se non per lamentarci delle spiagge poco pulite (tra l’altro molte delle nostre spiagge contengono sabbie non locali, chissà cosa ne pensano i sovranisti). I sociologi da decenni si divertono ad analizzare il “mondo  fantasmagorico” (per usare un termine di moda qualche decennio fa). Bene, più il mondo si smaterializza più è necessaria sabbia finissima per produrre i chip: e ne prendiamo tantissima di sabbia finissima (spesso la trafughiamo) nelle poche miniere disponibili. Più dichiariamo di voler utilizzare (non sfruttare) l’energia del sole, più dobbiamo mettere in conto la sabbia: silicio cristallino. 

Più il mondo si smaterializza più è necessaria sabbia finissima per produrre i chip: e ne prendiamo tanta nelle poche miniere disponibili

 

Tuttavia, più ci vantiamo della qualità e dell’efficienza dei pannelli fotovoltaici,  meno ci concentriamo sul processo necessario per ottenere quel silicio monocristallino il cui grado di purezza, tanto per rendere l’idea, è espresso da nove 9 e cioè 99,999999999 (più impurità ci sono, meno conversione si ottiene). Un’operazione, quella di produrre silicio ultra puro, che, come fa notare Vaclav Smil, ha un altissimo costo energetico (non è facile spezzare legami tra gli atomi e poi riunirli): “Tremila volte superiore a quello del cemento e mille volte superiore a quello del ferro e dell’acciaio”. Poi certo, in termini assoluti la quantità con cui si ha a che fare è minore, ma insomma, la parabola è chiara: per produrre questo materiale di incredibile purezza bisogna adottare un processo che richiede risorse, ha costi alti ed è inquinante. La materia del mondo ha le sue leggi (ci vuole energia per scomporre i mattoni fondamentali di cui è fatto il silicio per poi ricomporli), se ne frega dei programmi elettorali. 

Sempre a proposito di materia del mondo, ancora un caso di studio che Ed Conway ci invita a prendere in considerazione. Cosa preferite donare per migliorare la vita delle famiglie a basso reddito: contanti, integratori alimentari o un sacco di calcestruzzo? La maggioranza di noi benestanti potrebbe pensare a tutto tranne che al calcestruzzo. Scrive Ed Conway: “Uno dei problemi più gravi che affligge i bambini nei paesi in via di sviluppo sono i parassiti intestinali, che li fanno ammalare e poi non possono più andare a scuola. Questi parassiti vivono normalmente nelle feci e vengono portati nelle case attraverso la suola delle scarpe o la pianta dei piedi. Se i bambini vivono in una baracca con il pavimento di terra battuta, i parassiti resteranno nascosti più a lungo nell’ambiente domestico e potranno infettare altri bambini. Alcuni anni fa, le autorità messicane hanno iniziato a distribuire alle famiglie il cemento per pavimentare casa. Le infezioni da parassiti sono crollate del settantotto per cento, il numero di bambini colpiti da diarrea si è dimezzato e i casi di anemia sono diminuiti di quattro quinti. E il rendimento scolastico dei bambini è migliorato e anche le mamme erano meno depresse”. 

Quando le autorità messicane hanno iniziato a distribuire alle famiglie cemento per pavimentare casa, le infezioni da parassiti sono crollate

Capite, tutto grazie a un semplice sacco di cemento.  Da noi ce n’è troppo, e anche per questo alcuni verticali di moda consigliano case di legno super fighe costruite nei boschi, efficienti, auto alimentate ecc., ma nei casi più terra terra, è dimostrato che la pavimentazione delle strade sterrate produce in media un aumento di oltre un quarto del salario per chi ne usufruisce, e fa crescere anche la percentuale di bambini che frequentano la scuole. Il fatto è che nessun altro materiale quanto il cemento ha fatto davvero la differenza, e così rapidamente.  A parte la velocità di produzione. Prima bisognava modellare e cuocere i mattoni, poi disporli uno sopra l’altro, alternandoli a strati di malta. Ora basta versare il calcestruzzo in uno stampo. Prima ci volevano settimane, ora sono sufficienti poche ore e meno della metà della forza lavoro. Tanto è vero che fino a un paio di secoli fa, quasi tutti gli edifici erano fatti di mattoni o legno, oggi il calcestruzzo rappresenta circa l’ottanta per cento circa di tutti i materiali usati nell’edilizia. Va bene, ma qual è il problema? A parte che se per fare l’albero ci vuole il fiore e per fare il calcestruzzo ci vuole anche la sabbia, e sempre nell’ambito minerario siamo, o in quello dei trafugatori notturni di risorse.

Ma poi osserviamo l’abc del cemento. Citiamo ancora Ed Conway “i termini calcestruzzo e cemento vengono usati come sinonimi, ma non sono precisamente la stessa cosa. Per spiegare la differenza in modo semplice si può dire che il cemento è l’ingrediente magico, il collante che fa stare insieme il calcestruzzo. Di per sé il cemento è una polvere ottenuta tramite la cottura e la successiva frantumazione di pietre calcaree o di gesso, poi mescolate insieme ad argilla, sabbia e a volte aggiungendo altri additivi come l’ossido di ferro.  Aggiungendo l’acqua, si innesca una reazione con il calcio e il silicio da cui esce un gel grigio e appiccicoso, pieno al suo interno di microscopici frammenti rocciosi.  Se versate nel composto  iniziale anche ghiaia e sabbia, i cristalli anziché legarli l’uno con l’altro, si legheranno ad altri nuovi composti e avrete il calcestruzzo. Pietra liquida, roccia da versare”. Tutto questo ha un costo. E difatti,  l’utilizzo del calcestruzzo è tra i principali responsabili di emissioni di carbonio del pianeta – altro che aviazione e agricoltura intensiva. L’anidride carbonica emessa per la produzione del cemento si divide in una proporzione di sessanta a quaranta. Il sessanta per cento delle emissioni riguardano la reazione chimica di combustione del carbonio presente nel gesso e nella pietra calcarea durante il processo di trasformazione in cemento. L’altra parte deriva dall’energia necessaria a scaldare il forno rotante dove il cemento viene prodotto.  

L’utilizzo del calcestruzzo è tra i principali responsabili di emissioni di carbonio. Ma si può evitare di usare combustibili fossili per scaldare i forni

Ora, per riscaldare il forno rotante basta evitare di usare combustibili fossili. Per esempio il Regno Unito e gli Stati Uniti sono riusciti a tagliare di oltre il cinquanta per cento le emissioni, ricorrendo a nuove fonti di energia. Ma il problema è la reazione chimica. Per produrre l’ossido di calcio, cioè la calce viva, il carbonato di calcio deve essere sottoposto ad alte temperature.  Tra l’altro è stato questo semplice processo a determinare le prime emissioni di carbonio su vasta scala, prima che arrivassero i combustibili fossili. Ebbene, dopo millenni non siamo ancora riusciti a trovare un sistema per far reagire il carbonio senza produrre CO2. Ci sono delle alternative, per esempio il cemento può essere ottenuto anche senza ricorrere alla reazione chimica, ma quasi tutte le miscele più promettenti partono dagli scarti delle fornaci, che invece di gas serra ne producono parecchi. Oppure ci sono nuovi tipi di cemento ma nessuno sa per certo quanto siano resistenti sul lunghissimo periodo. Per alcuni paesi, poi, il problema delle emissioni è aggravato dalla carenza dei materiali necessari per il cemento. 

Le grandi quantità di acqua necessarie alla reazione chimica. Che fare? Studiare prima di aprir bocca con dichiarazioni o accuse

Metti l’acqua: il calcestruzzo ha una sete inestinguibile, necessita cioè di una fornitura costante di acqua per rendere possibile la reazione chimica. La richiesta è talmente elevata che il calcestruzzo da solo copre circa un terzo del consumo idrico industriale a livello mondiale. La domanda è sostenibile quando c’è abbondanza di acqua, ma considerate che oggi i paesi che usano più calcestruzzo sono anche quelli che affrontano grandi periodi di siccità e l’indisponibilità di acqua potabile. Che facciamo? Per non rovinare tutto da qui a pochi decenni? Mi sa che prima di aprire bocca con belle dichiarazioni o atti di accusa, come gli uomini sono brutti, sporchi e cattivi, ci tocca rendere interessante (per il dibattito pubblico e dunque per gli attori politici) anche la sabbia, i sassi, il calcare, il rame, il ferro, il cobalto, il litio, l’ammoniaca. Metterci a studiare la materia del mondo: se vogliamo migliorare il mondo, ovvio. Per migliorare il nostro posizionamento, basta invece la solita fuffa (ma anche quella inquina parecchio).

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