(foto EPA)

l'analisi

Ci sono più soldi nelle casse dello stato, ma non è il caso di esultare

Marco Leonardi e Leonzio Rizzo

I 27 miliardi aggiuntivi da utilizzare in Manovra in realtà sono già stati impegnati con un aumento della spesa. Ecco perché non ci saranno margini d'intervento sul fiscal drag ai lavoratori

La legge di assestamento di bilancio recentemente approvata dal Parlamento è il momento in cui si verificano e si correggono, a metà dell’anno, le previsioni di entrate e spese della legge di bilancio. A volte questo documento così tecnico assurge all’onore delle cronache perché si scopre qualche “tesoretto”, ovvero qualche entrata imprevista in più nelle casse dello stato, che prontamente la politica si occupa di spendere. E’ successo anche quest’anno, dai conti del Mef risulta che le entrate nel 2024 saranno quasi 27 miliardi in più del previsto. Non è la prima volta che succede, capitò anche due anni fa con il governo Draghi: un aumento inatteso del pil provocò un aumento delle entrate che fu in parte speso subito dopo per i sussidi per l’aumento del costo dell’energia. Ma quest’anno è diverso perché non ci sono soltanto entrate inattese ma anche uscite inattese e perché c’è un problema in più, l’inflazione, che rischia di rovinare tutti i giochi.

 

L’aumento inatteso di 27 miliardi di entrate è dovuto in gran parte (9 miliardi) all’aumento dell’Irpef dei lavoratori dipendenti e pensionati. Per il resto (6 e 4 miliardi) sono dovuti alle imposte sulle società (Ires) e alle imposte sostitutive. Infine, è prevista una diminuzione dell’Iva e 10 miliardi che sono di fatto trasferimenti da Cassa depositi e prestiti. Concentriamoci sull’Irpef dei lavoratori (per lo più dipendenti) e pensionati perché l’inflazione colpisce qui. L’Irpef è l’unica imposta progressiva mentre Ires, Iva e imposte sostitutive (la flat tax degli autonomi, l’imposta sui guadagni di capitale, etc.) sono tutte imposte proporzionali. Se un lavoratore è sottoposto a tassazione progressiva (è il caso dell’Irpef), quanto più guadagna tanto maggiore è la quota del reddito che paga allo stato. Se invece è sottoposto a tassazione proporzionale (è il caso dell’Ires o della flat tax al 15 per cento per gli autonomi), vuol dire sì, che quanto più guadagna, tanto più paga, ma la quota che paga del suo guadagno è costante (per esempio il 15 per cento per la flat tax). Questa caratteristica implica che se ho avuto il rinnovo del contratto di lavoro che di fatto ha adeguato (forse anche solo parzialmente) il mio reddito all’inflazione subita nel 2022 e 2023, quando pago l’Irpef, aumenta la quota del reddito che pago in tasse, nonostante in termini di potere d’acquisto il mio reddito non sia aumentato: questo si chiama fiscal drag.  Il fiscal drag si traduce dunque in maggiori entrate non dovute per lo stato. Quando l’inflazione era alta, negli anni 70 e 80, il fiscal drag era un grosso problema e infatti per un certo periodo lo stato restitutiva il fiscal drag in busta paga ai lavoratori dipendenti. 

Ora il fiscal drag è tornato. L’Ufficio parlamentare di bilancio nel suo ultimo rapporto sostiene che tutte le azioni messe in campo negli ultimi dieci anni 2014-2024 da parte dei governi per ridurre la tassazione (gli 80 euro di Renzi e poi i 100 di Gualtieri e la decontribuzione di Draghi) siano andate in fumo in soli due anni grazie alla fiammata inflazionistica.  L’aspetto più preoccupante è che l’effetto è regressivo, l’aumento della tassazione colpisce soprattutto i redditi medio-bassi, e riguarda soprattutto i lavoratori dipendenti e pensionati, che hanno meno possibilità di difendersi dall’inflazione. 

Ma quindi questo aumento inatteso delle entrate di 27 miliardi potrà essere usato per restituire il fiscal drag ai lavoratori?  In verità no, perché nella legge di assestamento di bilancio si registra anche un’importante variazione positiva delle spese per 19 miliardi e mezzo: per interventi di incremento dell’efficienza energetica (13 miliardi), per l’acquisto di beni strumentali destinati alle strutture produttive del Mezzogiorno (4 miliardi e mezzo) e per attività di ricerca e sviluppo (1,2 miliardi). Poi ci sono ulteriori spese correnti per 2,7 miliardi di trasferimenti a enti locali e quasi 4 miliardi di rimborsi. Di fatto, l’incremento di entrate (in parte finanziato col fiscal drag) tanto sbandierato dai media è già tutto impegnato con un corrispondente incremento di spesa. 

 

Alla fine, la notizia positiva di un aumento delle entrate non è poi così positiva se si capisce che le entrate sono aumentate per via del fiscal drag. Infatti quelle nuove entrate sono già impegnate e non possono essere spese e i soldi per la prossima legge di bilancio vanno comunque trovati. Il ministero del Tesoro intende continuare nel solco dei precedenti governi a scontare i contributi dei redditi da lavoro medio-bassi, ma ora ha un problema in più che si chiama inflazione e fiscal drag.  Se ha ragione Upb, che ricorda come il fiscal drag si sia mangiato in due anni tutti i benefici fiscali per il reddito da lavoro dipendente, si rischia che la nuova decontribuzione per i redditi bassi sarà perfettamente inutile se non si interviene per restituire il fiscal drag.

Di più su questi argomenti: