(foto Ansa)

economia

Se ben fatto, il raddoppio della flat tax può portare anche cose buone

Stefano Firpo e Andrea Tavecchio

La misura sui redditi esteri introdotta dal governo ha anche aspetti positivi. Non vuole abolire un regime che a livello internazionale sta dimostrando di funzionare. E conserva la regola della "parola data"

Negli scorsi giorni è stata introdotta per decreto legge, che dovrà essere convertito in legge nei prossimi 60 giorni, il raddoppio (da 100 mila a 200 mila) dell’imposta sostituiva sui redditi esteri per chi trasferisce a partire dal 2025 la propria residenza in Italia. Tale misura ha creato un certo scompiglio in una parte degli operatori del mondo del cosiddetto wealth planning, perché avvenuto in pieno agosto e senza che vi fosse stata alcuna forma di discussione sull’argomento. Cerchiamo di mettere come prima cosa un po’ di ordine su una materia, quella della fiscalità internazionale, su cui tanti commentano senza forse avere un quadro di insieme corretto.

Per prima cosa regimi speciali di attrazione per le persone fisiche sono presenti in molti paesi europei tra cui Svizzera, Regno Unito (e vedremo che cambiamenti apporterà nel concreto il governo Starmer), Spagna, Portogallo, Belgio, Malta, Cipro, Grecia e per tutti questi paesi – tranne che per la Grecia – il regime di favore esiste da ben prima che l’Italia introducesse un insieme di norme di attrazione tra cui quella “dei 100 mila”. Tra l’altro se vogliamo estendere la gita “oltre a Chiasso” parafrasando Arbasino bisogna ricordarsi che per le persone fisiche che si trasferiscono ad esempio a Monaco, a Dubai, a Singapore, a Panama, a Hong Kong e a Montevideo le tasse sono sostanzialmente zero e che anche alcuni paesi dell’est Europa non scherzano per attrattività, magari con accordi ad hoc. 

 

La norma italiana è quindi da analizzare nel contesto della competizione fiscale internazionale. Una sua modificazione senza tenere presente il contesto sarebbe quindi un’ulteriore occasione persa per il nostro paese, che per decenni ha “esportato” persone ad alto reddito e che invece negli ultimi anni sta riuscendo – con fatica – a invertire questa tendenza. E poi ci sono altri elementi da considerare quando si parla di fiscalità internazionale. La presenza di strumenti riconosciuti come “fiscal stopper”, cioè che non fanno scattare sotto alcune condizioni la tassazione sui beneficiari come persone fisiche. E solo per citare alcuni strumenti molto comuni stiamo parlando di fondi comuni (anche i comunissimi Etf), le holding se dotate di sostanza e sotto alcune condizioni anche di polizze vita e in molte giurisdizioni anche di Trust o Fondazioni. 

 

Le tematiche fiscali sulle persone fisiche sono quindi molto complesse, specialistiche, e capire come nel concreto avviene la tassazione – a livello globale – per le persone ad alto patrimonio non è ovvio. Interventi unilaterali italiani, quindi, rischiano solo di essere velleitari se non accompagnati da uno sforzo che deve essere almeno coordinato a livello europeo. Non a caso oggi è un tema di cui si parla a livello di G20.

Torniamo in Italia. Nella stessa stagione in cui vennero introdotte le norme di attrazione di cui si parlava sopra, l’Italia fece anche partire la cosiddetta “voluntary disclosure”, che oltre a essere la seconda di maggior successo al mondo per gettito dopo quella argentina, come contropartita fece partire una serie di scambi di informazioni automatici con paesi fino ad allora impensabili (ad esempio la Città del Vaticano). Scambio di informazioni automatico che si è incardinato nei cosiddetti “Crs – Common Reporting Standard”. L’Agenzia delle Entrate riceve informazioni, su dati patrimoniali e reddituali, su tutti i residenti fiscali in Italia, senza distinzioni, compresi coloro che trasferiscono la residenza in Italia con i vari regimi agevolativi.

 

E’ proprio questo scambio di informazioni insieme a una serie di presìdi anti abuso inseriti in queste norme che fece dire all’allora commissario europeo Pierre Moscovici che la norma italiana “dei 100 mila euro” non era unfair, perché si inseriva in un contesto di scambio di informazioni e di garanzie anti abuso e anti riciclaggio. Chiudiamo sulla modifica introdotta dal governo a cui si accennava in premessa.  Si possono vedere in questo intervento due aspetti positivi: il primo è che quanto sopra sia stato capito e non si voglia abolire unilateralmente il regime (che abbiamo visto essere in buona compagnia); il secondo, che hanno rispettato, in ossequio allo statuto del contribuente, la regola generale del “grandfathering”, cioè che la parola che era stata data viene mantenuta per chi aveva fatto affidamento sul trasferimento fiscale nella Repubblica italiana. In questo contesto si potrebbe pensare in fase di conversione del decreto legge di far scattare l’incremento per chi trasferisce la residenza fiscale in Italia a partire dal 2026, salvaguardando coloro che hanno già pianificato un trasferimento nel nostro paese entro la prima metà del 2025.  Un trasloco in un paese diverso dal proprio è sempre un progetto di vita che parte tipicamente con 12-18 mesi di anticipo.

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