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L'analisi

L'aumento dei salari reali e le ragioni sbagliate. Per farli crescere serve altro. Tre verità

Riccardo Trezzi

Da qualche giorno si è riacceso il dibattito sull’andamento delle retribuzioni in Italia, complice la pubblicazione di dati Ocse che registrano aumenti dei redditi superiori a quelli dei prezzi. L’argomento è complesso e richiede di andare oltre il tifo dei due schieramenti politici

Da qualche giorno si è riacceso il dibattito sull’andamento delle retribuzioni in Italia, complice la pubblicazione di dati Ocse che registrano aumenti dei redditi superiori a quelli dei prezzi. L’argomento è complesso e richiede di andare oltre il tifo dei due schieramenti politici.
 

In questo intervento ci focalizziamo su tre indicatori di retribuzioni nominali, cioè al lordo dell’inflazione. Il primo è “l’indice delle retribuzioni orarie” che, come dice il nome stesso, cattura l’evoluzione delle retribuzioni per ora lavorata. Questo indicatore è per costruzione vicino a quanto hanno in mente come “busta paga” i lavoratori con contratto orario. Il secondo indicatore arriva dalla contabilità nazionale ed è chiamato “compensazione dei lavoratori”. A differenza delle retribuzioni orarie, questo indicatore cattura tutta la massa salariale distribuita, ovvero tutti i lavoratori e ogni forma di compensazione. L’evoluzione nel tempo di questo secondo indicatore rispecchia sia l’andamento dei salari nominali (le “buste paga”), sia il numero di lavoratori occupati. L’ultimo indicatore è il “reddito disponibile delle famiglie” che partendo dalla compensazione dei lavoratori toglie le tasse pagate e aggiunge i trasferimenti. Questo indicatore cattura il potere d’acquisto delle famiglie perché depura dalle tasse e aggiunge i trasferimenti statali (ad esempio i sussidi).
 

La confusione nel dibattito nasce dal fatto che a seguito dello shock inflativo, i tre indicatori non si sono mossi assieme. Nonostante l’aumento dei prezzi dal 2022 in poi, infatti, le retribuzioni orarie nominali sono cresciute meno dei prezzi poiché la loro evoluzione rispecchia i tempi della contrattazione collettiva. Al tempo stesso però il mercato del lavoro ha iniziato a macinare record: abbiamo oggi circa 1,2 milioni di lavoratori a tempo indeterminato in più del 2019. Per questa ragione, la “compensazione dei lavoratori” non ha perso potere d’acquisto. Non solo ma il “reddito disponibile” (reale) già a inizio 2024 è salito sopra il livello del 2019 poiché i maggiori trasferimenti hanno compensato lo shock energetico. Negli ultimi mesi, complici finalmente i rinnovi di alcuni contratti collettivi, le retribuzioni orarie hanno iniziato l’atteso recupero dell’inflazione perduta, da cui i titoli dei quotidiani degli ultimi giorni sui dati Ocse.
 

Se non fosse ancora chiaro cos’è successo, un esempio viene in aiuto. Nella famiglia Italia nel 2019 lavorava solo il padre. La busta paga del padre dal 2019 a oggi è cresciuta poco, sicuramente meno dell’inflazione. Ma nella famiglia Italia oggi lavora anche una seconda persona (la madre) e il reddito famigliare nel suo complesso ha tenuto l’aumento dei prezzi. Non solo ma questa famiglia ha anche sentito poco lo shock inflativo poiché ha ricevuto maggiori sussidi statali (ad esempio, le bollette sono state in parte compensate). Negli ultimi mesi la busta paga del padre ha iniziato ad adeguarsi all’inflazione persa essendo stato rinnovato il contratto collettivo corrispondente. Questa è, in sintesi, la storia delle retribuzioni nominali e reali degli ultimi 3 anni, esulando dagli aspetti redistributivi dei quali non possiamo scrivere per brevità e senza attribuire meriti che sono impossibili da assegnare in questo caso.
 

Non sorprende quindi che in questa situazione in molti abbiano preso la palla al balzo per sottolineare quella parte della storia che supporta la narrazione politica desiderata. A noi tocca il compito di ricordare quanto gli economisti, per lo meno quelli seri, dicono da trenta anni. Se si vuole far aumentare le retribuzioni reali, cioè al netto dell’inflazione, vi è una sola strada: cambiare la specializzazione produttiva del paese, adottare tecnologie più efficienti e far aumentare la produttività. Il livello delle retribuzioni reali in Italia è oggi basso non a causa dello shock del 2022 ma data la performance della produttività degli ultimi 30 anni. Far diventare le questioni demografiche e di produttività il centro dell’azione di governo è l’unico modo. Altrimenti continueremo a confondere la restituzione ai lavoratori dell’inflazione persa o un aumento di deficit per un successo di politica economica.

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