L'analisi
La realtà attende la fine delle chiacchiere d'agosto su pensioni e Tfr
La Lega, come ogni anno, continua a promuovere Quota 41 anche nel mezzo di una crisi demografica senza precedenti. Nel frattempo, il ministro Giorgetti cerca soluzioni per allungare la permanenza lavorativa, perché la realtà del paese è molto diversa dalle proposte
Come ogni anno, di questi tempi, la foresta pietrificata italiana reitera alcuni suoi luoghi stucchevolmente comuni. I giornali si adeguano portandosi avanti e saccheggiando gli archivi, motivo per cui si inizia a parlare di “autunno caldo” e di “cantiere pensioni”, in attesa delle pubblicità dei panettoni, verso ottobre. Anche quest’anno la tradizione è rispettata.
Abbiamo la Lega, che mena fendenti a vuoto e nel buio al fantasma di Elsa Fornero (che sta benissimo e il Signore la conservi), o meglio della realtà, rincorrendo la sua ossessione di Quota 41 per i pensionamenti di anzianità anche nel mezzo di una crisi demografica senza precedenti. Con lo spettacolo di un ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, leghista e offertista, che fa il controcanto al proprio partito annunciando e suggerendo incentivi per la permanenza al lavoro.
Questo punta-tacco in un solo partito ci offre una versione rivista di Quota 41, con ricalcolo integralmente contributivo che, soprattutto in prospettiva, permetterebbe ai proponenti della mitica soglia di dire che l’obiettivo è stato raggiunto e l’operazione è riuscita, anche se il paziente-pensionato è morto di fame. Come irrobustire, quindi, i futuri assegni di Quota 41, premesso che l’impressione è che una simile lunga durata contributiva sia ormai un miraggio per le nuove generazioni, minate da carriere contributive discontinue? L’ultimo suggerimento è quello di imporre l’obbligo di versare una quota del Tfr ai fondi pensione, che la investono sui mercati finanziari e, in linea teorica, al termine della vita lavorativa dovrebbe produrre un montante superiore.
Di Tfr un pizzichin: un quarto, per essere precisi. Ma perché proprio un quarto? Forse per non creare eccessivi problemi alla tesoreria di aziende con meno di 50 dipendenti, visto che sopra tale soglia il Tfr finisce all’Inps? Ma perché non disporre che il Tfr finisca tutto ai fondi pensione salvo opt-out, cioè rifiuto espresso del lavoratore? Di questa possibilità si parla da molti anni ma è sempre rimasta allo stadio di teoria, forse per i motivi di tesoreria di cui sopra.
Non è chiaro se i proponenti del quartino di Tfr abbiano fatto simulazioni per valutarne il contributo all’assegno pensionistico e la capacità di compensare la falcidie di una Quota 41 totalmente contributiva. Si dirà: sono chiacchiere agostane e, al massimo, settembrine. Senza dubbio. Ma fa quasi tenerezza vedere gente che si dibatte furiosamente, impigliata nella ragnatela della realtà, nel tentativo di arrivare all’agognato traguardo di Quota 41 e poter esibire lo scalpo della legge Monti-Fornero. Costi quel che costi. Il tutto dopo essersi persi per strada Quota 100, 101, 102 e 103 con rinforzino e dopo i danni inflitti alle finanze pubbliche, soprattutto con la prima misura, accompagnata dal blocco dell’adeguamento dell’età di pensionamento anticipato alle aspettative di vita.
E mentre questi ingegneri previdenziali disperati cercano la quadra, il loro compagno di partito che siede alla scrivania di Quintino Sella studia nuovi modi per contrastare le uscite anticipate dal lavoro, ad esempio allungando le finestre pensionistiche mobili, cioè il periodo di tempo che intercorre tra la maturazione del diritto alla pensione e l’effettiva riscossione dell’assegno. Ecco, potremmo fare così: Quota 41 per tutti con finestre mobili di un lustro, e abbiamo battuto la Fornero. La forma è rispettata. A noi continua a fregarci la sostanza.
sindacati a palazzo chigi