Debito e demografia, Panetta indica i problemi dell'Italia

Luciano Capone

Al Meeting di Rimini il governatore della Banca d'Italia mostra la difficile strada per la crescita: meno deficit e più produttività, meno spesa per interessi e più spesa per l’istruzione, meno pensioni e più occupazione

Nel suo discorso al Meeting di Rimini, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha parlato soprattutto di integrazione europea, in particolare della necessità di creare una “capacità fiscale comune” per far funzionare meglio l’Unione economica e monetaria. E questa è sicuramente la parte che trova maggiori e trasversali consensi nella classe politica.

Ma Panetta ha fatto anche alcune considerazioni sull’Italia e sui suoi problemi strutturali, la cui mancata soluzione impedisce proprio di arrivare all’auspicata maggiore integrazione europea: produttività, debito e demografia. Di questi aspetti, invece, la classe politica – con le dovute eccezioni – discute con meno piacere. Eppure, senza le dovute riforme in casa per avvicinare il paese alla media dell’Eurozona, è altamente improbabile che il resto dei paesi dell’Unione sia disposto a mettere in comune tasse e debiti.

“Il problema cruciale rimane la riduzione del debito pubblico” ha detto Panetta, ricordando che il debito elevato rende le imprese meno competitive, espone il paese a choc finanziari esterni e sottrae risorse per reagire agli choc e per favorire la crescita. “L’Italia è l’unico paese dell’area dell’euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l’istruzione”, ha ricordato il governatore. Come si esce da questo circolo vizioso di alto debito e stagnazione?

“Affrontare il nodo del debito richiede politiche di bilancio orientate alla stabilità e al graduale conseguimento di avanzi primari adeguati”, ha detto Panetta. Questo vuol dire, come ricordato su queste pagine, che per mettere il debito su un sentiero discendente l’Italia deve raggiungere avanzi primari del 3-4%, considerando che secondo il Def chiuderà l’anno con un disavanzo primario di circa mezzo punto di pil. Già sembra di sentire le imprecazioni contro “l’austerità”, da parte di chi ritiene che un paese con debito al 140% del pil possa continuare a macinare deficit di bilancio di 4-5 punti (dopo gli 8-9 degli anni passati).

Questo vuol dire che la crescita economica, indispensabile per ridurre il debito pubblico, deve passare per l’aumento della produttività che invece è stagnante da decenni. Vuol dire, in sostanza, fare più riforme e meno spesa in deficit, soprattutto se indirizzata in investimenti poco produttivi come fatto negli ultimi anni con i bonus edilizi.

L’aumento della produttività è inoltre necessario perché c’è una grande forza che lavora contro la crescita e la riduzione del debito pubblico, da un lato favorendo l’aumento della spesa e dall’altro riducendo la forza lavoro: è il declino demografico. “Le proiezioni demografiche indicano che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenterà il numero degli anziani”, ha detto il governatore. Pochi mesi fa, nelle Considerazioni finali, Panetta aveva parlato più nello specifico di quanto sia preoccupante la prospettiva per l’Italia: secondo le proiezioni dell’Istat, nei prossimi 15 anni la popolazione in età lavorativa si ridurrà di 5,5 milioni di unità, pur considerando un saldo migratorio netto di 170 mila persone all’anno. Con questo trend, ipotizzando che la produttività e il tasso di occupazione rimangano ai livelli attuali, ci sarebbe un crollo del pil del 13% e del pil pro capite del 9%.

Questo vuol dire che l’Italia, per controbilanciare gli effetti della demografia, ha bisogno da un lato di aumentare i flussi regolari in ingresso e dall’altro di smetterla con le politiche di anticipi pensionistici stile Quota 41, di cui si sta discutendo molto in queste settimane. In vista della legge di Bilancio, se si volesse dare attuazione alle parole di Panetta sulle sfide che toccano al paese, dovrebbe parlare molto più di lavoro e molto meno di pensioni.

È vero che il mercato del lavoro italiano è molto migliorato negli ultimi anni, raggiungendo record storici di occupati (24 milioni), ma proprio ieri l’Eurostat ha mostrato che l’Italia ha il tasso di occupazione dei neolaureati peggiore d’Europa (67,5%), 5 punti più basso della penultima Grecia (72,3%) e 16 punti inferiore alla media europea (83,5%). Eppure, un aumento del tasso di occupazione generale fino alla media europea potrebbe mantenere invariato il numero di occupati e controbilanciare gli effetti del calo demografico. Ma questo vuol dire, appunto, parlare di come aumentare l’occupazione al posto di come aumentare la spesa pensionistica.

Anche perché la spesa pubblica italiana sul pil ha tutte le voci inferiori alla media europea e solo due superiori. Una è la spesa per interessi sul debito, ricordata da Panetta, che è pari alla spesa per istruzione; l’altra è la spesa pensionistica, che ha superato il 16% del pil, ed è pari a circa il 40% della spesa corrente primaria.

La strada indicata dal governatore della Banca d’Italia è fatta di meno deficit e più produttività, meno spesa per interessi e più spesa per l’istruzione, meno pensioni e più lavoro. È una strada complicata da percorrere, ma l’unica possibile.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali