Foto ANSA

Automotive

Le incognite e la prudenza di Bruxelles sui dazi alle auto cinesi 

Antonio Sileo

Le misure europee verso l'automotive cinese potrebbero facilmente essere aggirate e convertirsi in rincari per i consumatori. Ma l'efficacia andrà misurata più avanti perché è ancora tutto da decidere. L'ultima bozza e i ritocchi a ribasso della Commissione

Mentre le immatricolazioni di auto elettriche procedono con ritmi decisamente sotto le attese, in particolare in Germania, va meglio delineandosi l’intricata questione dei dazi di Bruxelles nei confronti delle auto elettriche cinesi. Martedì la Commissione ha pubblicato la bozza di decisione destinata alle parti interessate: ora ci sono dieci giorni di tempo perché costruttori e governo cinese possano presentare osservazioni e commenti.

Facendo seguito all’indagine antisovvenzioni aperta lo scorso autunno, a luglio Bruxelles aveva “concluso in via provvisoria” che la catena di valore dei veicoli elettrici a batteria (Bev) prodotti in Cina beneficia di vari sussidi, prestiti e sovvenzioni concessi dal governo cinese che minacciano di arrecare un pregiudizio economico ai produttori di Bev dell’Unione europea. Da qui l’annuncio di voler imporre un aggravio, “compensativo e provvisorio”, da aggiungersi al 10 per cento già previsto nelle tariffe doganali vigenti su tutti gli autoveicoli elettrici importati dalla Cina.

Già le tariffe individuali aggiuntive di luglio, dopo un un’intensa attività di consultazioni, si erano concretizzate con lievissime modifiche al ribasso rispetto alle anticipazioni. Oggi questi ribassi sono stati ulteriormente marcati. Va detto che i dazi europei – al massimo del 36,3 per cento – saranno comunque meno onerosi rispetto a quelli americani già introdotti in settori strategici come l’acciaio e l’alluminio, i semiconduttori, le batterie, i minerali critici e, appunto, i veicoli elettrici, dove l’aliquota tariffaria aumenterà dal 25 al 100 per cento. L’approccio più prudente di Bruxelles trova spiegazioni nelle maggiori preoccupazioni di ritorsioni e nelle interrelazioni, anche automobilistiche. Lo dimostra la contrarietà dei produttori e del governo tedeschi, ma anche la posizione dell’Ungheria, che ospita l’impianto di BYD, il maggior produttore cinese. Quanto alle ritorsioni, l’ultima minaccia di Pechino è l’avvio di un’indagine sui sussidi ai prodotti lattiero-caseari europei (e il noto incremento del 218 per cento delle tariffe doganali sui vini australiani).

 


Se i dazi saranno efficaci è prematuro dirlo, anche per le possibilità di aggiramento: per esempio, vetture prodotte in Cina e assemblate in Ue. Gli aspetti da valutare riguarderanno l’effettiva protezione dell’industria europea, la non eccessiva penalizzazione dei consumatori ed eventuali insediamenti di stabilimenti cinesi nei paesi europei.  La partita è ancora aperta: il regolamento di esecuzione con le conclusioni definitive dell’inchiesta dovrà essere pubblicato entro ottobre e gli aggravi saranno in vigore per cinque anni, prorogabili.


L’avvio dell’indagine e le revisioni al ribasso dei dazi, tuttavia, bastano a dimostrare le considerevoli difficoltà europee e l’eccessiva ambizione nel mischiare obiettivi ambientali e di politica industriale. Ci si potrebbe al tal proposito chiedere perché i dazi sono stati previsti solo per le vetture elettriche e non anche per quelle endotermiche. La spiegazione è tecnica: le norme Ue considerano le vetture elettriche a zero emissioni di CO2 (a prescindere da quelle relative alle fasi di produzione e di ricarica) e consentono la vendita di autovetture endotermiche senza incorrere in sanzioni solo se compensata da sufficienti immatricolazioni di auto a zero o a basse emissioni (le ibride ricaricabili). Colpendo le elettriche si colpiscono indirettamente anche le altre autovetture cinesi, che pure vendono piuttosto bene. Che questo però basti a salvare capra e cavoli è tutto da vedere.

 

Di più su questi argomenti: