Cina, auto elettriche e formaggio. Lo scambismo di Coldiretti sul libero scambio

Luciano Capone

Dopo aver chiesto per anni di fermare l'import cinese, ora si lamenta se la Cina fa altrettanto. È contro i dazi Ue sui veicoli elettrici cinesi perché Pechino si vendica sui latticini, ma blocca il trattato commerciale con il Mercosur penalizzando l'automotive

Da sempre l’allarme è stato l’invasione dalla Cina. Ora è che la Cina alza le barriere. Nel mondo ideale della Coldiretti le cose nel mercato globale dovrebbero funzionare così: liberoscambismo quando si esporta, protezionismo quando si importa. Una linea di politica commerciale che si fa fatica a definire infantile, dato che pure un bambino si rende conto della sua insostenibilità.

Ora il problema è la guerra commerciale tra l’Europa e la Cina. I coldirettisti si sono resi conto, improvvisamente, di quanto il protezionismo possa danneggiare un paese trasformatore ed esportatore come l’Italia. Bruxelles dopo mesi di trattative ha aumentato i dazi sulle auto elettriche cinesi, per proteggere l’industria automobilistica continentale, e Pechino ha reagito con un’indagine sui sussidi europei ai prodotti lattiero-caseari. Allarme Coldiretti: a rischio l’export di formaggi!

Naturalmente si tratta di mercati molto diversi, anche per dimensioni. L’Ue importa dalla Cina auto elettriche per oltre 10 miliardi, mentre esporta poco più di 1 miliardo in latticini e formaggi. Per l’Italia l’export lattiero-caseario verso il Dragone è di 30 milioni di euro nei primi quattro mesi dell’anno, poca roba. Ma ciò non toglie che i dazi siano una brutta cosa. Pertanto la prevedibile ritorsione cinese, che usa l’argomento della “concorrenza sleale”, è indubbiamente dannosa. Ma è esattamente lo stesso argomento usato da sempre dalla Coldiretti per chiudere le porte alle merci cinesi.

Periodicamente l’associazione lancia allarmi contro “l’invasione” di prodotti dall’Asia. Una volta è il riso: “L’Unione europea deve introdurre un’efficace clausola di salvaguardia per fermare l’invasione di prodotto straniero e tutelare i produttori nazionali dalla concorrenza sleale”, diceva un recente appello del presidente Ettore Prandini. Solo un paio di mesi fa, la Coldiretti era andata all’arrembaggio di una nave nel porto di Salerno che trasportava pomodoro concentrato cinese al grido di “Basta import sleale!”. Un mese prima voleva fermare un treno proveniente dalla Cina. Non solo riso e pomodoro, anche il miele: “L’import sleale affossa il miele italiano con i produttori che devono fronteggiare arrivi di prodotto straniero di bassa qualità a prezzi stracciati, come quello cinese”, denuncia Coldiretti.

C’è quindi una prima banale incoerenza: non si possono chiedere dazi e barriere contro i mercati verso cui si vuole esportare. O meglio, lo si può fare, ma poi è stupido protestare se la controparte fa altrettanto. Ma in questo caso c’è un’altra incoerenza, che riguarda i diversi settori di una stessa economia. “Siamo stufi, come settore agroalimentare, di continuare a pagare il conto di misure adottate per tutelare altri settori, come quello dell’auto” ha dichiarato Luigi Scordamaglia, ad di Filiera Italia e capo area Mercati, internazionalizzazione e politiche comunitarie di Coldiretti. E infatti, negli scorsi mesi, l’associazione degli agricoltori guidata dal duo Prandini-Gesmundo si è più volte espressa contro i dazi europei sulle auto cinesi, proprio perché avrebbero prodotto ritorsioni sull’agroalimentare.

Ma questo è l’unico caso in cui la Coldiretti si trova a essere penalizzata per le misure protezioniste a favore di altri settori. Perché in genere le parti sono invertite. La Coldiretti è da sempre stata contraria a tutti i trattati di libero scambio dell’Ue, proprio con l’obiettivo di tutelare i propri interessi particolari, anche se a scapito del resto dell’economia.

È accaduto con l’insensata guerra contro il Ceta, l’accordo commerciale con il Canada. Ancora oggi, nonostante gli evidenti benefici all’economia italiana ed europea in termini di aumento dell’export, Coldiretti è contraria alla ratifica. “Non bisogna ratificare il trattato”, sostiene Scordamaglia. Ha cambiato idea. Perché prima di essere assoldato da Coldiretti, quando era presidente di Federalimentare, Scordamaglia era pienamente favorevole alla ratifica del Ceta: “Il vantaggio è evidente”. Coldiretti era contraria anche al Jefta, l’accordo di libero scambio tra Europa e Giappone: “Un altro duro attacco al vero made in Italy”, diceva l’associazione.

Ma soprattutto è contraria all’accordo tra Ue e Mercosur, il mercato comune tra i principali paesi del Sud America, che si è arenato proprio per l’opposizione di ambientalisti e agricoltori. L’accordo commerciale con il Mercosur, porterebbe a un abbattimento delle barriere tariffarie e non-tariffarie complessivamente a benefico per entrambe le aree. In questo caso, però, se si comprende che gli agricoltori italiani ed europei vogliono essere protetti dall’export di potenze agricole come Brasile e Argentina, bisogna considerare che a essere penalizzata dal mancato accordo commerciale è la manifattura, in particolare l’industria automobilistica.

Insomma, le parti sono invertite rispetto allo schema cinese. Senza considerare che l’accordo con il Mercosur sarebbe di fondamentale importanza per l’Ue per stringere legami economici ed estendere il suo soft power su un pezzo di mondo dove è forte la penetrazione della Cina.

In sostanza, la politica commerciale è troppo importante per essere lasciata alla Coldiretti. Anche se sugli accordi commerciali la saggezza contadina può essere molto utile: non si deve badare solo al proprio orto e non si possono avere la botte piena e la moglie ubriaca.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali