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Cantiere pensioni

Quando andremo in pensione? Le proposte più discusse per la prossima finanziaria

Riccardo Carlino

La Lega vorrebbe mandare in soffitta Quota 103, sostituendola con una versione rimaneggiata e (per ora) riservata solo ai lavoratori precoci. Il calcolo contributivo penalizza i beneficiari, e riduce le richieste di accesso, ma permette maggiore respiro alle casse pubbliche 

Mentre i progetti finanziati dal Pnrr procedono a rilento, il cantiere delle pensioni non si ferma, e procede legislatura dopo legislatura da più di 30 anni con rattoppi e modifiche di ogni tipo. L’ultima legge di bilancio ha prorogato la pensione anticipata flessibile, che concedeva una finestra pensionistica ai lavoratori con un’anzianità contributiva di 41 anni e un’età di almeno 62. Da qui il nome “Quota 103”.

Quella somma, tuttavia, potrebbe presto dimagrire di molto, dato che la Lega, da sempre intenzionata al superamento definitivo della riforma Fornero del 2011, ha rilanciato la proposta di una Quota 41 capace di far andare in pensione chi abbia versato almeno 41 anni di contributi, a prescindere dall’età.

Fra le varie ipotesi sul piatto ci sarebbe quella di porre come requisito di accesso l’aver versato almeno 12 mesi di contributi prima dei 19 anni di età. Sostanzialmente, la platea di potenziali beneficiari si restringerebbe ai lavoratori “precoci”, che hanno iniziato a svolgere attività lavorative prima (o immediatamente dopo) la maggiore età.

Non che l’accesso a quota 103 sia stato più esteso. In base alle ultime rilevazioni dell’inps, dal 2023 (anno della sua introduzione) ci sono stati 764.907 pensionamenti, circa 101mila in meno rispetto ai dati del 2022. Un calo dovuto anche allo scarso successo della misura, visto che l’assegno erogato per chi accede alla finestra è calcolato interamente col sistema contributivo. Anche per tutti coloro che (pur avendo cominciato a lavorare prima della legge Dini del 1995) rientrerebbero nel ben più vantaggioso sistema retributivo, che commisura l’importo della pensione alla retribuzione incassata negli ultimi anni di lavoro.

Lo “svantaggio” del contributivo sta proprio nel fatto che l’assegno è calcolato solo in base ai contributi versati, riducendo l’importo finale del 15 o addirittura del 30 per cento. Sicuramente non un fattore attraente per i 17mila potenziali beneficiari di Quota 103 stimati all’inizio dell’anno, anche se è l’unica possibilità per introdurre una riforma pensionistica senza gravare eccessivamente sulle spalle dello Stato. In linea con le richieste di Bruxelles, che vorrebbe una spesa aggiuntiva molto più leggera (se non ridotta all’osso) per i conti pubblici. Lo stesso discorso varrebbe, quindi, anche per l’ipotetica Quota 41, il cui costo complessivo si aggirerebbe intorno al miliardo. 

Sempre dal Carroccio arriva l’idea di versare obbligatoriamente parte del Tfr (componente della retribuzione trattenuta e corrisposta solo al termine del rapporto) in un fondo pensione. Solitamente i lavoratori possono scegliere se lasciare questo importo nelle casse dell’azienda oppure veicolarlo verso una forma di previdenza complementare. Una destinazione, quest’ultima, che potrebbe permettere un potenziale aumento dell’assegno futuro, in quanto il fondo investirebbe i soldi dei sottoscrittori in attività finanziarie capaci di generare rendite da aggiungere all’importo della pensione. Si ipotizza che il dirottamento alla previdenza integrativa del 25 per cento (o di quote più ridotte) del trattamento di fine rapporto possa avvenire tramite “silenzio assenso”. Sul tema interverranno i sindacati nelle prossime settimane, anche se dal Meeting di Rimini la ministra del lavoro Elvira Calderone si è mostrata già favorevole.

 

 

Ci sono meno dubbi invece per quanto riguarda la proroga dell’Ape sociale, misura che permette a disoccupati, care viver, persone con invalidità di almeno il 74 per cento con almeno 30 anni di contributi oppure impiegati in attività usuranti (e almeno 36 anni di anzianità contributiva), di smettere di lavorare con il raggiungimento di 63 anni e cinque mesi di età. Probabili conferme anche per il rinnovo di Opzione donna, per lavoratrici dipendenti e autonome con almeno 35 anni di contributi (entro la fine del 2023) e il requisito anagrafico di 61 anni, riducibile a 59 in presenza di 2 o più figli. È riservata a categorie tutelate, come caregiver, invalide civili e lavoratrici o dipendenti da imprese in crisi e con un tavolo di confronto con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Tuttavia, anche nell’ambito di queste due misure di pensionamento anticipato l’adesione è piuttosto fiacca. Al primo trimestre del 2024 si registrano circa mille richieste di accesso per Ape sociale, e 1700 per Opzione Donna.