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l'analisi

La crescita dell'Italia passa dalla riforma delle politiche attive

Alberto Brambilla e Claudio Negro

Per superare la sclerosi del mercato del lavoro sono in campo vari programmi. I passi avanti del Siisl, l’ultimissima piattaforma digitale creata dal ministero del Lavoro, e i problemi di Garanzia occupabilità e lavoro

L’approccio tradizionale sia delle parti sociali sia della politica riguardo al funzionamento del mercato del lavoro è sempre stato quello di pensare a un mercato che si autoregola con una dinamica spontanea tra domanda e offerta; un mercato da sorvegliare perché non violi elementari norme di equità. Ancora nei gloriosi anni 70 il massimo di intervento nel libero mercato era costituito dal monopolio pubblico del collocamento (attraverso gli omonimi Uffici del lavoro e della massima occupazione) che si esplicava tramite le “liste”, cui teoricamente dovevano attingere, rispettando l’ordine di anzianità di iscrizione, le imprese. Cosa che ovviamente avveniva solo occasionalmente, mentre le assunzioni avvenivano tramite le reti di conoscenza o le parrocchie. Però ciò non creava un problema: la domanda di lavoro era costantemente alta e l’offerta aveva una forza contrattuale magnificata nell’autunno caldo. Di politiche attive si sente parlare soltanto alla fine degli anni 70, quando le grandi ristrutturazioni industriali producono esuberi di manodopera e si pone il problema della mobilità, ma viene affrontata nei termini tradizionali delle politiche passive: integrazione al reddito per il lavoratore in mobilità e incentivi fiscali per chi lo assume. 

In breve, è soltanto negli ultimi 20 anni che, a fronte del fenomeno del mismatch e della mobilità crescente, si pone il problema di politiche che aiutino l’offerta e la domanda di lavoro a incontrarsi. Una delle prime idee in proposito è stata quella di sfruttare l’informatica proponendo piattaforme che rendessero visibili le domande e le offerte di lavoro. Scarsa fortuna: cataloghi puramente informativi. Il Siisl (Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa), l’ultimissima piattaforma digitale creata dal ministero del Lavoro, propone due caratteristiche del tutto innovative. Innanzitutto è “universale”, quindi ingloba tutte le ricerche-offerte sul territorio nazionale. In secondo luogo, e soprattutto, grazie all’Intelligenza Artificiale (IA), è interattivo e capace di “guidare” l’offerta a incontrarsi con la domanda. Con un pizzico di cattiveria si potrebbe dire che farà ciò che l’intelligenza umana allocata nei Centri per l’impiego (Cpi) non ha mai fatto. L’IA dovrebbe poter anche indicare un percorso di formazione-riqualificazione per un candidato, e valutare la congruità di eventuali rifiuti di proposte di lavoro. Non si tratta però di una banale sostituzione di lavoro umano con IA: il Siisl è un potente strumento a disposizione degli operatori per svolgere efficacemente mansioni che altrimenti richiederebbero ricerche, controlli e verifiche complesse e dispersive. Dovrebbe poter determinare un’importante moltiplicazione del lavoro prodotto dagli operatori, sia pubblici sia privati. Un altro aspetto, marginale ma da valorizzare, è che l’accesso alla piattaforma sarà (almeno così pare) aperto alle utenze private e alle imprese, eliminando vincoli burocratici o obblighi di intermediazione.

Quest’ultimo aspetto tuttavia rappresenta un elemento positivo solo per una parte marginale del mercato del lavoro, quella cioè il cui unico problema è trovare la domanda coincidente con l’offerta (o viceversa): in questo senso avere a disposizione una piattaforma “universale” può certamente rendere più efficiente la ricerca. Tuttavia, il problema del mercato del lavoro oggi non è tanto l’incontro spontaneo tra una domanda e un’offerta che già esistono, quanto l’adeguamento dell’offerta alla domanda. Il mismatch che avvelena il sistema italiano è il problema centrale, e non si può risolvere in chiave informatica: stiamo parlando di un fabbisogno di manodopera manifestato dalle aziende pari, per esempio, a 566 mila unità per il mese di giugno 2024, di cui circa 270 mila  non si riescono a reperire. 

Le politiche attive devono dunque consistere in misure personalizzate, finalizzate a creare quel terreno di incontro tra domanda e offerta che spontaneamente non si produce. Il che in concreto significa fare un bilancio di competenze del candidato, intervenire con formazione/riqualificazione ove necessario, orientarlo verso il tipo di domanda più adatto, assisterlo nella ricerca. Non è un lavoro di tipo amministrativo, ma anzi molto “attivo”. Tutto ciò naturalmente ha un costo, al di là del sostegno al reddito per chi ha perso il lavoro. E proprio per questo è centrale il Pnrr e i suoi finanziamenti: stando al Def la riforma delle politiche attive del lavoro (che si chiama Gol: Garanzia occupabilità e lavoro) vale ben 1,5 per cento su un totale cumulato di crescita del 3,3 per cento al 2026. Gol dovrebbe essere il contenitore organizzativo dove confluiscono le diverse misure di incontro domanda-offerta e i relativi finanziamenti. Ovviamente il sistema non è ancora operativo al 100 per cento, ma qualche osservazione sui suoi primi passi può essere fatta. I dati più recenti di cui disponiamo sono quelli di gennaio 2024: Gol ha finora preso in carico 2.070.745 persone, di cui la grande maggioranza coinvolte in programmi di collocazione (titolari di indennità di disoccupazione, disoccupati). Di questi il 38,2 per cento è stato avviato al lavoro entro 185 giorni dall’inizio dell’intervento. Tuttavia, occorre tener conto che Gol prevede quattro tipologie di intervento, tra cui la prima riguarda i disoccupati da poco tempo e con profili spendibili sul mercato mentre altre tre sono dedicate ai disoccupati di lunga durata e a disoccupati con scarsi profili professionali. In queste tre tipologie l’intervento si basa soprattutto sulla formazione (upskilling, reskilling). D’altra parte, questi percorsi formativi sono spesso abbandonati in circa il 30 per cento dei casi e comunque si potrebbe discutere sulla loro efficacia: in più del 50 per cento dei casi hanno come target competenze informatiche di base che in genere le aziende considerano obsolete. 

Quindi siamo ancora lontani dagli obiettivi che il programma deve perseguire e questo soprattutto per: il livello di preparazione insufficiente degli operatori dei Cpi, sui quali si basa ancora tutta la procedura burocratica di presa in carico e assegnazione alla misura operativa adatta; la “labirinticità” del programma, che allunga i tempi, dà poche certezze sul piano operativo, crea ostacoli burocratici. La somma stanziata, cofinanziata dal Pnrr, è di 4,4 miliardi; una cifra congrua, ma il programma Garanzia Giovani, fondato sostanzialmente su pratiche simili a quelle previste per Gol, ha dato risultati sconfortanti con uno stanziamento di 2,2 miliardi. Il problema non sono tanto le risorse quanto le strutture funzionali ma il fatto che nessuno ha mai valutato l’efficacia della formazione erogata. 
 

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