Powell annuncia l'atteso tagli dei tassi della Federal Reserve

Stefano Cingolani

Il capo della banca centrale americana non delude le attese e conferma: "E' arrivato il tempo di aggiustare la nostra politica monetaria". Ma per il timing della discesa dei tassi bisognerà ancora aspettare, un primo intervento potrebbe arrivare già a metà settembre

Chi come il Wall Street Journal si attendeva la svolta non è stato deluso. Jerome Powell, il gran capo della banca centrale americana, ha detto che “è arrivato il tempo per aggiustare la nostra politica”, in altri termini per ridurre il costo del denaro. Su quando e di quanto il presidente della Federal Reserve non s’è scoperto: “La direzione del viaggio è chiara, il timing e il ritmo del taglio dei tassi dipenderà dai prossimi dati, l’evolversi delle previsioni e il bilanciamento dei rischi”, tutti caveat che aveva usato più volte. Ma ha precisato che è aumentata la sua fiducia che l’obiettivo del 2 per cento sia vicino. La prossima riunione del 16 e 17 settembre può essere l’occasione per la prima mossa, magari con una minima riduzione di un quarto di punto portando la forchetta al 5-5,25 per cento.


 Le borse ci credono e dopo le parole di Powell tutti gli indici hanno accelerato i rialzi, compreso il Nasdaq, e il rimbalzo è subito arrivato in Europa. Anche Powell ha pronunciato il suo “whatever it takes”, impegnandosi “a fare tutto quanto è necessario per sostenere un forte mercato del lavoro a mano a mano che realizziamo ulteriori progressi verso la stabilità dei prezzi”. Quel che ha colpito è l’ottimismo con il quale ha dipinto lo scenario economico. “Quattro anni e mezzo dopo l’arrivo del Covid-19 le distorsioni economiche stanno svanendo – ha esordito –. L’inflazione si è ridotta in modo significativo. Il mercato del lavoro non è surriscaldato e le condizioni sono ora meno anguste di quelle che prevalevano prima della pandemia. Le strettorie dell’offerta si sono normalizzate. E il bilanciamento dei rischi per il nostro mandato è cambiato”. 


Powell ha difeso la politica monetaria restrittiva, sottolineando che ha avuto successo nel mettere in equilibrio domanda e offerta “allentando le pressioni inflazionistiche e assicurando che le aspettative di inflazione rimangano ben ancorate”. Tutto ciò senza provocare una frenata dell’economia che “cresce a una solida andatura”. Il mercato del lavoro continua a creare nuovi posti di lavoro. A chi lamenta che il ritmo si sia rallentato, il presidente della Fed ha risposto indirettamente apprezzando un certo raffreddamento rispetto agli eccessi registrati, in ogni caso il tasso di disoccupazione al 4,3 per cento “è ancora basso rispetto ai livelli storici”,  anche se di mezzo punto superiore al 2023.


 Il mandato della Fed è doppio: ridurre l’inflazione e far crescere l’occupazione, e Powell ha detto che è stato rispettato con successo. Il roseo ritratto dell’economia americana cozza con quel che va dicendo Donald Trump, cioè che l’inflazione sale, il pil scende e la disoccupazione dilaga. Ma l’orgogliosa rivendicazione dei successi ottenuti porta con sé  altri messaggi. Il primo, più schiettamente economico, riguarda i critici della Fed, coloro i quali l’hanno rimproverata di essersi mossa troppo tardi e di mandare messaggi oscuri se non contraddittori. Il secondo riguarda il prossimo futuro. Powell è stato nominato da Trump e confermato da Joe Biden. Ha mostrato di comportarsi sempre da “civil servant” e nessuno può rimproverargli di aver ceduto alle pressioni politiche che sono state davvero forti. Se vincesse Trump gli farebbe pagare il suo odierno ottimismo, ma se prevalesse Kamala Harris è probabile che userebbe il suo spoils system. Powell non è un economista, ma un uomo di legge, ieri passando meticolosamente in rassegna le cause e gli sviluppi della peggiore inflazione degli ultimi decenni, non ha mancato di lanciare frecciatine anche ai professoroni che volevano insegnargli il mestiere: sia chi sosteneva che era necessaria una recessione lunga e dura, sia chi come il suo predecessore Ben Bernanke e Olivier Blanchard ha riabilitato la curva di Phillips, cioè la relazione inversa tra inflazione e occupazione. E’ vero che l’aumento dei sostegni fiscali nel 2020 e 2021 aveva creato un ambiente favorevole, ma i prezzi sono esplosi per gli effetti della pandemia, con i rincari delle materie prime e l’interruzione della catena dell’offerta. “I miei colleghi e io abbiamo giudicato che questi fattori non fossero persistenti”, ha detto. Conclusione implicita: abbiamo avuto ragione noi. 


Adesso tocca a Christine Lagarde. La Bce si riunisce il 12 settembre una settimana prima della Fed: sceglierà di aspettare la banca centrale americana o l’aniticiperà con un nuovo taglio di un quarto di punto? Il governo italiano si aspetta un allentamento della politica monetaria che renderebbe meno stringente la prossima politica di bilancio.

Di più su questi argomenti: